Valutazioni a caldo dopo la design week milanese. Alla scoperta dei progetti che hanno lasciato il segno e di quelli, al contrario, che hanno deluso le aspettative.
È stata un’edizione quanto mai intensa, la settimana milanese del design targata 2018: arricchita (o forse dovremmo dire messa strutturalmente in crisi?) dai nuovi distretti del suo Fuorisalone, e animata da proposte di ogni tipo che hanno coinvolto progetti e professionisti di ogni genere e caratura. Per i consueti Top&Flop di Artribune, abbiamo stilato una lista di avvistamenti e riflessioni che, a conclusione dell’evento, ci appaiono significativi e necessari. Consapevoli della parzialità delle segnalazioni – con oltre 1200 location è sempre più difficile poter pretendere visite a tappeto – sebbene animati dalla consapevolezza di aver ricercato con cura le piccole perle imperdibili da tenere d’occhio. Che vi presentiamo in una carrellata di immagini.
U-JOINTS
La mostra che esplora la tassonomia dei giunti in tutte le sue possibili configurazioni si aggiudica la nostra menzione d’onore in quanto a originalità e qualità della curatela 2018. Prodotta dalla galleria Plusdesign con il Club Juventus e curata da Andrea Caputo e Anniina Koivu, U-Joints mette in scena la complessità con cui, ieri come oggi, la cultura del progetto si è ingegnata per mettere insieme molteplici componenti all’interno di uno stesso prodotto, passando – giusto per fare qualche esempio – dai nodi della tradizione marinara, alle impalcature, fino agli sgabelli di Alvar Aalto. Una mostra perfetta per ogni cultore della materia, perché capace di coniugare in una vastissima casistica approfondimento tecnico e prospettiva storica.
NILUFAR DEPOT
Edizioni limitate e lusso, certo, ma non solo. Nel suo magazzino delle meraviglie in viale Lancetti, la gallerista Nina Yashar ha tirato fuori dal suo cilindro magico la bellissima produzione di arredi del duo formato dalla grande architetta romana Lina Bo Bardi con Giancarlo Palanti, attivi in Brasile dal 1948 al 1951 come Studio d’Arte Palma. Un’occasione privilegiata per scoprire un portfolio – poco conosciuto al grande pubblico, soprattutto europeo – di grande eleganza quanto votato ad una semplicità di segno mai austera. Intorno, vecchi e nuovi protégés della galleria di arredi più preziosa di Milano: belle anche le nuove proposte 2018 firmate da Claude Missir e da Khaled El Mays.
FORMS OF MOVEMENTS by Nendo
Siamo rimasti spiazzati dalla mostra che Nendo ha presentato nella cornice di Superstudio: non la retrospettiva sull’attività della prolifica e geniale agenzia di design giapponese capitanata da Oki Sato che ci aspettavamo, quanto uno studio in 10 atti sulla materia e sulle trasformazioni plastiche a cui può andare incontro se sollecitata da determinate tipologie di movimento. Messa da parte la consueta ironia e l’intuitività a cui gli oggetti di Nendo ci hanno abituato, quello che rimane è un esercizio colto sulle potenzialità dei materiali, che si trasforma in una anticipazione da tenere a mente sulle tipologie di oggetti e le caratteristiche del design che verrà.
PANORAMA DI VALENTINA CAMERANESI
Un clima sospeso, rarefatto, introspettivo. La piccola mostra di Valentina Cameranesi nell’ex ferramenta Meazza (a cura di Annalisa Rosso) è una delle piccole chicche del Salone del Mobile di quest’anno. In mostra accostamenti di materiali quali ceramiche, vetri, tessuti, strutture di metallo, composizioni di materiali e oggetti eterogenei che reinterpretano il set design come quel sotto-filone che dalla natura morta giunge fino all’installazione, lasciando spazio ad un esercizio solitario di contemplazione metafisica.
3D HOUSING 05, UNA VERA CASA IN 3D
Forse il futuro è davvero più vicino: la casa stampata in 3d da Massimiliano Locatelli di CLS Architetti in Piazza Beccaria assomiglia in tutto e per tutto ad una casa vera, complice anche l’intonacatura delle pareti e l’inserimento di arredi, cucina e sanitari. L’effetto è sorprendente, e ancora più interessante è scoprire che questa soluzione è oramai competitiva: se il costo al metro quadro di questa installazione per il fuori salone è di circa 800 euro al metro quadro, il tema di CLS architetti già prefigura un futuro a breve termine in cui si potrebbe scendere a 300 euro. Aprendo la strada ad innumerevoli applicazioni, pensiamo solo all’architettura in contesti di emergenza umanitaria.
FLOP – SATURAZIONE RETROLOOK
Ispirazione déco, tra geometrie pure, metalli e colori pastello: questo è sicuramente il canone più consolidato e stracopiato che abbiamo avvistato girando tra i distretti della design week. Bene, è arrivato il momento di dire basta: quella che è iniziata come la sperimentazione di poche, autorevoli voci e si è trasformata in linguaggio indistinto ripetuto da tanti, troppi epigoni. Per non parlare del ricorso senza sé e senza ma al millennial pink, l’unico colore che non vorremmo rivedere per oltre un decennio (unica, grande eccezione, l’uso mitigatissimo e sensuale fattone da Studiopepe per lo splendido allestimento di Club Unseen, il (secret) club più affascinante di tutto il Salone).
FLOP VERDE
“Dobbiamo fare in fretta”, si sente dire spesso a proposito dell’emergenza ambientale. La domanda di sostenibilità è oramai sempre più condivisa, eppure il Salone non sembra avanzare proposte concrete per dare una risposta alla catastrofe in cui rischiamo di imbatterci presto. Restano inesistenti le politiche di contenimento dell’impatto della manifestazione: quanto si riesce a riciclare e quanto a compensare di tutti questi allestimenti temporanei? Grazie all’installazione di Carlo Ratti in piazza Duomo prodotta dal Salone del Mobile, che ricostruiva le caratteristiche climatiche delle quattro stagioni in un unico padiglione, si è molto discusso di sincretismo tra uomo e natura negli spazi urbani; eppure, piuttosto che di questa serra artificiale calata dall’alto, tutto sommato avulsa dal contesto cittadino, sarebbe stato interessante osservare una operazione di “contaminazione verde” reale, pensata per illustrare concretamente la trasformazione a cui la città può ambire. Tra i molti progetti avvistati in tema ambiente – e ce ne sono di notevoli e completamente spinti dal basso – mancano spesso i presupposti di una reale scalabilità delle proposte in grado di fare la differenza. A quando un premio – visto che il Salone di premi è oramai strapieno – per finanziare un progetto a favore dell’ambiente?
FLOP- CURATELE LIQUIDE
Non sono in pochi gli organizzatori e i curatori che al Salone prediligono puntare su designer che stimano e di cui si fidano, piuttosto che lavorare su progetti coesi, tenuti ben stretti intorno ad un’idea, un fil rouge. Ebbene, crediamo che sia arrivato il momento di invertire la tendenza. Vista la dispersione a cui il Salone ci ha condannati, pensiamo che una proposta forte, o una sua declinazione, o quanto meno una traccia tematica o tassonomica, sia destinata a fare la differenza, interrompendo la serendipità a cui come visitatori siamo oltremodo esposti. Il discorso vale per tutti, dagli storici distretti ai newcomers. Prendiamo ad esempio Alcova, che peraltro ci è piaciuto molto ma che ben esemplifica questa tendenza: non è un po’ troppo labile il nesso tra il concept della bella mostra sulla costruzione patinata della rappresentazione degli oggetti “Better Known As” (a cura di Matylda Krzykowski) e le proposte deliziose dell’e-commerce giapponese Nanban?
FLOP – INSTALLAZIONI, BELLE MA NON STRAVOLGENTI
Quest’anno c’era una certa aspettativa per i nomi che circolavano tra le installazioni di punta prodotte dai grandi brand o dai principali epicentri dei distretti del Fuorisalone. Ci riferiamo in particolar modo alla triade su cui in molti avevano puntato gli occhi: Asif Khan e il suo “Tempietto nel Bosco” a Palazzo Litta, Snarkitecture con “Altered States” per Caesarstone e Philipp K. Smith III con “Open Sky” per Cos. Sebbene non si possa parlare né di progetti incompiuti né di progetti a basso tasso di spettacolarità, manca forse quell’avanguardia nella ricerca che ci aspettavamo dai curricula in ballo. Colpa di aspettative troppo alte, di un concept un po’ stiracchiato o di location eccellenti che da sole finiscono per cannibalizzare i singoli progetti?
FLOP – IL TROPPO CHE DIVENTA RUMORE
In chiusura, non possiamo sfuggire a una nota di malinconica denuncia per l’entropia a cui, anno dopo anno, il Fuorisalone ci condanna inesorabilmente. La presenza di tante, tantissime, troppe proposte ci porta all’impossibilità fisica di visitare anche solo la lista allargata di progetti e installazioni che desideriamo ardentemente vedere. Peccato, soprattutto per quei piccoli progetti di nicchia che, inevitabilmente relegati a piano B dopo i “must see” dei grandi nomi, perdono una preziosa occasione di visibilità. Impedendoci, per inciso, un giudizio sereno sui top&flop, che finiscono per essere parziali. Ebbene, cosa si aspetta a riconsiderare “l’esperienza-utente” dell’intero Salone per evitare che, prima o poi, si inizino a verificare fenomeni di vero e proprio rigetto? La preoccupazione non è peregrina, se pensiamo che un apripista come Tom Dixon, da sempre all’avanguardia non solo nello sviluppo delle sue collezioni ma anche dei criteri con cui immaginare distretti e formule espositive proprio al Salone, quest’anno ha deciso di non far partecipare il suo brand. E se anche in questa scelta si dimostrasse un precursore?
Pubblicato su Artribune.com il 23 aprile 2018