Nerd quindicenni, professionisti brizzolati, famiglie con bambini, qualche vero eccentrico di difficile catalogazione. Questi i personaggi, senz’altro eterogenei, che hanno affollato lo scorso weekend il Palazzo dei Congressi di Roma. Ancora un articolo sulla Rome Maker Faire.
Un ottimismo talmente esasperato da sembrare fanatico: è l’atmosfera che permeava la prima edizione europea della Rome Maker Faire, format inaugurato nel 2006 negli Stati Uniti per celebrare l’inventiva, le scoperte e il bricolage da terzo millennio dei nerd americani votati al culto del DIY.
Se è difficile, dunque, identificare i tratti in comune tra le varie tipologie di pubblico, lo è ancora di più riportare sotto un minimo comun denominatore il linguaggio degli oltre 250 espositori presenti alla manifestazione, quanto mai distanti per sia natura (ricerca, non profit, profit) che per campo di applicazione, dalla componentistica per computer fino alla pasticceria. Parcellizzazione di domanda e offerta legate dunque a doppio filo, per un effetto che il visitatore avverte come spiazzante e a tratti persino deludente. Come in preda a una sostanziale indefinitezza.
Qualche esempio servirà a chiarire le idee. Iniziando da chi, in questa fiera, ha fatto la parte del Golia. È il caso della più grande multinazionale al mondo di microprocessori, quella Intel che, desiderosa di guardare al mercato in crescita dell’Internet delle Cose, ha presentato in anteprima mondiale la sua nuova scheda Galileo realizzata – udite, udite – in collaborazione con l’ex Davide open source Arduino. Saltando di palo in frasca, passiamo dalle stampanti Wasp alle prese con l’estrusione di argilla per la produzione di un modulo abitativo urbano – forse il lavoro più meritorio di tutta la fiera – a Open Source Vehicle, prima automobile da stampare in 3d e montare a casa nel giro di un’ora, fino ai lavori più disimpegnati e di nicchia – ma non per questo meno azzeccati – di Stampomatica, una 3d letterpress per una tipografia domestica, e Spaghetti Prop, la prima web community dedicata alla realizzazione di oggetti di scena.
La lista potrebbe continuare a lungo, e non farebbe che accrescere la stessa sensazione di caotico stordimento. In grado, però, di rievocare un capitolo assolutamente paradigmatico della storia del design, vecchio di oltre un secolo e mezzo: il senso di dispersione e confusione, agli arbori della prima rivoluzione industriale, che i visitatori del Crystal Palace provarono di fronte agli artefatti eterogenei, sia nella natura funzionale che estetica, presentati all’Esposizione Universale del 1851. Se possibile, però, la schizofrenia dell’oggi appare ancora più marcata di quella di un tempo. E la ragione sta tutta nell’attitudine, scarsamente interessata non solo al commercio, ma soprattutto al progetto, con cui tanti espositori della Maker Faire hanno lavorato alle loro applicazioni: non orientate necessariamente alla ricerca di una desiderabilità e funzionalità a misura di utilizzatore, ma indirizzate verso un’implementazione tecnologica tout court in grado di ricreare in casa prestazioni da grande industria.
Ma, verrebbe da dire, è la stampa 3d, bellezza: prima che la mass customization faccia il suo ingresso definitivo nelle nostre vite, saremo tutti chiamati a vivere un periodo cuscinetto in cui la nostra progressiva familiarizzazione con queste nuove opportunità andrà di pari passo con la definizione della natura e delle possibilità della fabbricazione personale. In attesa che la terza rivoluzione industriale, al di là del volto che finirà per assumere, giunga realmente a compimento.
Pubblicato su Artribune.com il 10 ottobre 2013