C’era una volta la cucina componibile, epicentro familiare degli affetti e della buona forchetta. Rassicurante, inclusiva, doveva coniugare il riferimento simbolico al focolare con la praticità ergonomizzata dell’uso e della prestazione culinaria. Con la mitologia di questo piccolo ventre caldo, regno di una massaia destinata ad accudire con efficienza, ci abbiamo convissuto per decenni. Fino a che questo modello, culturale prima che produttivo, ha iniziato a includere nuovi tipi di istanze: tecnologia, ambiente, durata del ciclo di vita del prodotto, ben oltre il funzionamento di un claim o la stagione di una pubblicità.
Il nome dell’azienda che prima di altre ha sposato questo nuovo passo, abbracciando con decisione assoluta il tema di una sostenibilità a 360 gradi, ambientale e semantica? Valcucine. Una realtà – industriale, si badi bene – che chiede alle cucine del terzo millennio qualcosa di più. Non solo di contenere al massimo l’impatto sull’ambiente, grazie alla produzione del primo modello in acciaio e vetro completamente riciclabile, ma anche di affrontare con soluzioni pratiche temi come etica, decrescita, salute. Un altro specchietto – questa volta più evoluto – per la pubblicità? Quanto meno, uno specchietto coraggioso, come dimostra l’attitudine dell’amministratore delegato Gabriele Centazzo. Uno che ha fatto del concetto di albero la metafora per il ripensamento di un’intera filiera, e che non rinuncia a investire nella promozione di un dibattito faticoso, lontano dalle ricette del profitto immediato.
Pubblicato su Artribune Magazine #7 e su Artribune.com il 23 agosto 2012