Si ispirano al genius loci i prodotti realizzati nel nostro meridione da aziende che hanno guadagnato un posto di tutto rispetto nel panorama del design.
Una nuova luce sui territori, un tuffo nella ricchezza della loro storia, un ponte verso l’attrattività che potrebbero nuovamente suscitare. È questo, forse, il risultato più significativo che il design riesce a conseguire quando, allontanandosi dai generi di maniera, viene applicato per rileggere quel grande coacervo costituito da tradizioni, consuetudini e desideri – incluse le pulsioni indirizzate al cambiamento – in una visione ricca di aspettative e potenzialità.
L’elezione del genius loci come oggetto di indagine privilegiato, il ricorso creativo alla sapienza delle maestranze locali e, ancora, lo storytelling come metodo per riattivare immaginari possibili rappresentano una delle modalità operative più interessanti emerse tra le avanguardie della disciplina negli ultimi anni. Una vera e propria strategia sotto le righe, spesso non gridata, che si è rivelata azzeccatissima nei progetti di piccola scala, lontani anche geograficamente dai distretti conclamati del design nostrano. Fra le iniziative dal basso che hanno abbracciato questa metodologia, a conquistarsi un interessante posto al sole sono alcuni marchi e iniziative nati recentemente del nostro Sud Italia. Un fenomeno, questo, che non stupisce visto il potenziale ancora largamente inespresso delle arti applicate meridionali, fatte di tante stratificazioni suggestive e “microclimi” pieni di significato, ma che colpisce nel segno per la capacità di viaggiare tra gli archetipi attraverso forme e racconti lontani dalla retorica e dai cliché. Suggerendoci che proprio questa potrebbe essere la via per la rivitalizzazione di un tessuto produttivo tanto importante quanto troppo spesso, nei fatti, marginalizzato.
Avvistato con il progetto Materia Mater all’ultimo Salone del Mobile, lo studio Architetti Artigiani Anonimi è un esempio calzante di questa piccola rinascita a Sud. Nelle intenzioni della sua fondatrice, l’architetto di Amalfi Annarita Aversa, il design è uno strumento “per incentivare l’economia locale, riattualizzare ed esplorare fino in fondo la qualità della sua manodopera, come anche un modo per controllare che architettura e paesaggio non vengano deturpati di interventi arbitrari di cittadini e politici, difendendo un’identità culturale e un valore paesaggistico”, ha raccontato ad Artribune. Gli arredi della collezione Materia Mater incarnano in maniera tangibile il vincolo con il territorio, pur rinnovandone la connessione attraverso un segno straordinariamente asciutto: distinte dall’impiego di componenti in terracotta, materiale legato alla produzione ceramica di Amalfi fin dal tempo dei Romani, le librerie e i tavoli riproducono la semplicità e la limpidezza di architetture vernacolari essenziali e definite dalla precisione dei dettagli, ma capaci allo stesso tempo di irradiare una nota di calore. Tra i vari progetti in cantiere, Aversa sta lavorando a una nuova collezione per la Galleria Giustini / Stagetti che prende ispirazione dalle case a volta della costiera amalfitana: ancora un’architettura vernacolare da sublimare su piccola scala, esaltandone essenza e valore attraverso un registro rinnovato.
Profondamente legato alle proprie radici siciliane e a quella cittadina di Grammichele che, con la sua celebre pianta esagonale, costituisce un unicum nel mondo, è il marchio siciliano Desine, lanciato anch’esso all’ultimo Salone del Mobile sotto l’egida dell’azienda Dallegno. La sua prima collezione di arredi e complementi, sviluppati sotto l’art direction di Vincenzo Castellana, si distingue per la lavorazione accurata di legni rari provenienti dal territorio, coniugando una tradizione ebanistica sapiente con un design dalle geometrie spiccate – effetto diretto del genius loci? – che aspira a incarnare nuovi archetipi domestici ancorati ad un’idea di funzione e durata nel tempo.
La capacità di rinnovarsi, traghettando il passato verso un presente capace di esprimere idee, cultura e tecniche attuali, è il progetto di un’azienda familiare da tempo sotto il radar di professionisti e stampa di settore. In Calabria, Lanificio Leo rappresenta dal 1873 uno dei custodi più significativi di un’arte tessile centenaria, definitasi nel tempo attraverso un processo di osmosi naturale tra uomo, economia e territorio. Negli ultimi quindici anni l’azienda ha saputo non soltanto intercettare la sensibilità e le inclinazioni del gusto del pubblico internazionale, ma è riuscita anche a promuovere operazioni ben più concettuali, capaci di sublimare il territorio di appartenenza attraverso l’invenzione di veri e propri segni distintivi. È il caso del loro Punto pecora, stilizzazione dell’agnello rappresentato nel logotipo aziendale progettata da Studio Charlie nel 2005 (e appena esposta all’ultima edizione del Triennale Design Museum, Storie), che reinterpreta la tecnica jacquard conosciuta come triplice alludendo in maniera inequivocabile al paesaggio antropizzato calabrese. All’ultimo Salone del Mobile, il marchio ha esposto nella collettiva Design Language la collezione Timeless, selezione dei loro migliori progetti per la casa. Celebrando la capacità di resistere al trascorrere del tempo attraverso una valorizzazione continua – e in continuo movimento – della propria specificità culturale.
Pubblicato su Artribune Magazine #45 e su Artribune.com il 17 ottobre 2018