In mostra al Design Museum Holon la prima retrospettiva dello studio newyorkese invita a rintracciare la bellezza nel design di tutti i giorni.
Il valore della bellezza e l’effetto edificante che questa è in grado di esercitare sono i temi intorno ai quali si declina la prima retrospettiva dedicata al lavoro di Sagmeister &Walsh – “Sagmeister & Walsh: A Retrospective”, a cura di Maya Dvash – in mostra al Design Museum Holon fino al 20 ottobre. A esattamente sei anni di distanza dalla leggendaria indagine sulla felicità – “The Happy Show” (2012) – nella quale Stefan Sagmeister aveva condensato una decade di riflessioni ed esperimenti sulle modalità per promuovere la felicità tra gli uomini, l’agenzia creativa newyorkese fondata nel 2012 e guidata dal designer austriaco insieme a Jessica Walsh torna a confrontarsi con un tema sfuggente, soggettivo ed emozionale senza disattendere i canoni inventivi e provocatori che ne hanno reso celebre la comunicazione visiva.
“Il concetto di bellezza ha avuto una cattiva reputazione per centinaia di anni”, ha affermato Stefan Sagmeister nel corso della conferenza stampa di apertura della mostra. “I designer più rispettabili dichiarano di non esserne interessati. Il cambiamento nella percezione psicologica della bellezza ha diminuito le occasioni per ritracciare la bellezza nel design che avvistiamo tutti i giorni nelle città, nell’architettura e nella grafica. L’obiettivo di portare dei pezzi di ‘The Beauty Show’ al Design Museum Holon è quello di mostrare al visitatore che la bellezza non è una strategia superficiale, quanto la componente centrale di cosa significa essere umani”. Per Sagmeister & Walsh, dunque, la bellezza è sì il fine necessario – seducente alla vista quanto concettualmente denso – di un processo progettuale, ma anche una ricerca in grado di raccontare caratteri culturali, svelare l’umanità insita nei nostri sentimenti o, ugualmente, portare alla luce i nostri pregiudizi.
L’installazione site-specific concepita per il museo di design israeliano, Beauty=Human, ne è un esempio calzante: se, da lontano, la grande scritta sul muro appare un esercizio tipografico virtuoso, a uno sguardo ravvicinato si scopre composta di oltre 10.000 cimici e scarabei recuperati in Francia tra le specie di insetti autoctone (non rare). È un esercizio di messa a fuoco che rovescia lo stereotipo dell’insetto come essere disgustoso, sottolineando non soltanto il potenziale estetico insito in tutte le cose, ma anche la possibilità che la percezione della bellezza contribuisca a ribaltare i nostri punti di vista, trasformandosi in una guida per favorire la nostra accettazione del mondo.
Guidati da questa chiave di lettura, la visita al percorso espositivo diventa un’occasione per ritornare sui lavori da antologia dello studio, spaziando tra 70: progetti di identità visiva, poster, campagne pubblicitarie, installazioni e ricerche auto commissionate. Suddiviso in cinque sezioni – “The Representation of Emotions”, “Creating Worlds”, “References & Quotations”, “Letters as Images” e “Representing the Body” – il corpo principale della mostra include le tante icone che hanno identificato e definito il lavoro di Sagmeister dagli anni Novanta – il Lou Reed Poster, il poster della conferenza dell’AIGA a Detroit del 1999 (celebre metafora del dolore che accompagna lo sviluppo di ogni progetto), il packaging dei CD dei Talking Heads Once in a Lifetime(2003), 15 copertine diverse del volume Things I Have Learned In My Life So Far (2008) – come anche lavori più recenti realizzati dal duo, tra cui il maxi dispenser di gomme da masticare per “The Happy Show”(2012) o, ancora, Aizone (2015), ammiccante campagna pubblicitaria per l’omonimo centro commerciale libanese, fino a Resist, la copertina del New York Times Magazine dedicata alla marcia delle donne in protesta contro Trump (2017) e soprattutto alcuni estratti. di “Beauty=Function”(2018), presentato al padiglione austriaco dell’ultima Biennale di Architettura di Venezia. Non mancano, infine, i lavori dal portfolio di Jessica Walsh, tra cui il fortunato 40 Days of Dating (2013), disamina sentimentale nonché ennesimo progetto auto-commissionato sulla relazione tra la stessa designer e il suo amico Timothy Goodman, anche lui progettista e illustratore, alle prese con la trasposizione multimediale delle esperienze scaturite dai loro appuntamenti.
Vissute in prima persona mettendo spesso in gioco la propria corporeità, terreno espressivo per esperimenti di body art condotti sempre sul filo dell’ironia, le opere di “Sagmeister & Walsh: A Retrospective” sono anche la conferma di un metodo progettuale personalissimo, che fonde in maniera organica un set design realizzato artigianalmente a una attenta postproduzione in computer graphics. Un equilibrio tra analogico e digitale, dunque, che resta per il duo non soltanto lo sfoggio di una maestria tecnica capace di travalicare settori specialistici, ma anche una dichiarazione d’intenti sull’esigenza estetica e sulla sua equiparazione a nuovo funzionalismo del XXI secolo.
Pubblicato su Domusweb il 18 luglio 2018. Tutti i diritti riservati.