A Roma, l’appuntamento che più di ogni altro celebra le idee come motore del cambiamento. Lontano dai partiti e oltre la religione, TEDxRoma celebra l’“Out of the Box”, il progressismo fuori dagli schemi che migliora noi stessi e la comunità alla quale apparteniamo.
Una folla di oltre 1.000 persone si accalca all’entrata del Teatro Olimpico di Roma. Sono studenti, manager o creativi da agenzia, e tutti condividono lo stesso desiderio: farsi ricaricare dall’energia propositiva sprigionata da TED, la conferenza non profit fondata negli Stati Uniti nel 1984 come vetrina per le idee innovative, e trasformatasi nel principale format planetario in grado di promuovere ricerca avanzata e pensiero laterale quali strumenti di trasformazione per la società.
La versione che va in scena a Roma è un TEDx, una sorta di fratello minore gestito “in appalto” da un team di professionisti locali – tutti volontari -, qui capitanati dalla patent broker Emilia Garito. Rispetto al TED americano non c’è un biglietto d’ingresso carissimo, né quell’aria di esclusività che, a detta di partecipanti e giornali, resta una delle ragioni principali a motivare la partecipazione negli Usa. Ciò nonostante, la formula dello show non cambia. Ci sono speaker eterogenei – dall’artista al fisico allo chef -, c’è un timing rigorosissimo che scandisce i talk da quindici minuti, e c’è quel tappeto rosso circolare sul quale si svolgono gli interventi: non un mero riferimento visivo quanto una metafora del potere energetico emanato dalle persone e dai loro progetti, un acceleratore di entusiasmo in grado di contagiare la platea in ascolto.
A sorprendere, ma questo si poteva già immaginare dal programma, è l’assenza di quell’aria da provincia che ci aspetterebbe da un evento cittadino. Al contrario, è il parterre di ospiti a essere orientato con decisione in chiave globale. Pensiamo a Peter Lunenfeld, massmediologo dell’Ucla che rimane un mito di nicchia per le sue sperimentazioni editoriali a cavallo del 2000 con personaggi quali, tanto per fare un nome, Dj Spooky o Mieke Gerritzen. O ancora, al venture capitalist israeliano Yadin Kaufmann, che si è inventato la beneficienza per le start up sotto forma di stock options (quando la start up sarà comprata da un gigante, quelle piccole azioni varranno un gruzzoletto) e che si sta dedicando alla promozione di un fondo di investimento per le aziende tecnologiche in Palestina. Senza parlare di Victon Gray Cerf, tra gli inventori del protocollo TCP/IP e già nei libri di storia quale padre putativo di Internet, oggi Internet evangelist per Google: impossibile non ascoltarlo, ora che ci parla del problema della retrocompatibilità di dati e programmi, senza un brivido di emozione.
Pubblicato su Artribune.com il 2 marzo 2014