{"id":3169,"date":"2019-04-02T11:51:58","date_gmt":"2019-04-02T11:51:58","guid":{"rendered":"https:\/\/giuliazappa.net\/muslin-brothers\/"},"modified":"2019-04-02T11:51:58","modified_gmt":"2019-04-02T11:51:58","slug":"muslin-brothers","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/giuliazappa.net\/en\/muslin-brothers\/","title":{"rendered":"Muslin Brothers"},"content":{"rendered":"\n

“Esperimenti no-gender e no-size, uniformi contemporanee che guardano alla massima libert\u00e0 di movimento ed interpretazione. E fanno un punto imprescindibile della necessit\u00e0 di lanciare una riflessione aperta, un meticciato a lieto fine tra campi del design.”<\/strong><\/p>\n\n\n\n

In un paese come Israele, che convive da sempre con la presenza di netti confini politici e identitari, la vera avanguardia si prende il lusso di scavalcarli. Usando l\u2019improvvisazione come arma di riscatto per superare barriere, il duo israeliano Muslin Brothers<\/strong> \u2013 al secolo Tamar Levit<\/strong> e Yaen Levi<\/strong> \u2013 parte dalla moda per esplorare una pi\u00f9 ampia ricerca antropologica e progettuale attraverso incursioni tra installazioni, performance e visual design, senza il bisogno di etichette.<\/p>\n\n\n\n

\u00c8 a Tel Aviv, citt\u00e0 capace di fondere la propria appartenenza al Mediterraneo con un\u2019elettrica, contagiosa frenesia, che questo collettivo viene fondato nel 2011. La scelta del nome \u00e8 gi\u00e0 la prima rivoluzione: la garza di cotone \u2013 la mussola, appunto, muslin<\/em> in inglese \u2013 \u00e8 un materiale originario della Mezzaluna Fertile da sempre usato per la confezione dei campioni dei vestiti e rappresenta, in questo caso, una tendenza alla prototipazione, un\u2019apertura a idee e soluzioni impreviste. \u00abPenso che tutto sia iniziato da Tel Aviv e dal Medio Oriente: qui tutto \u00e8 spontaneo, pur nelle cattive declinazioni, visto che tutto appare spesso precario e transitorio<\/em>\u00bb, racconta Tamar Levit. Ogni abito, quindi, racchiude una congiuntura alchemica: la progettualit\u00e0 dei Muslin Brothers prende le distanze dal disegno come punto di partenza, e guarda alla libert\u00e0 di chi indossa come a una complicit\u00e0 da definire ogni volta specifica.<\/p>\n\n\n\n

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Muslin Brothers – Collezione AW 2016<\/figcaption><\/figure>\n\n\n\n

Succede allora \u2013 ecco qui la seconda rivoluzione \u2013 che le loro collezioni rifiutino i codici binari della moda maschile e femminile e prediligano la scelta di abiti no gender e no size, con linee e volumi definiti da uno taglio grafico, lontano da ogni decoro superfluo. \u00abI nostri vestiti non hanno taglie, sono un mix di movimento, forme, dettagli e colori\u00bb, continua Tamar Levit<\/strong>. \u00abProviamo gli abiti, ci muoviamo con loro addosso per effettuare dei veri e propri \u201ctest drive\u201d per le strade della citt\u00e0, cos\u00ec da poter osservare come reagiscano le persone\u00bb. L\u2019esito di questi esami fino allo scorso anno \u00e8 confluito nella produzione di due canoniche collezioni annuali, mentre oggi, invece, si confronta \u2013 ed eccoci alla terza rivoluzione \u2013 con pi\u00f9 forme d\u02bcarte. Ad esempio, con la performance, come accade per Blue 6×6<\/strong><\/em>, in collaborazione con il coreografo Ofir Yudelevitch<\/strong>, e per The 3 Sheets<\/strong><\/em>, progetto condiviso con Ariel Cohen<\/strong>; ci sono poi installazioni come Totem<\/strong><\/em>, ricerca visiva su ordine e disordine in collaborazione con il grafico Zohar Koren<\/strong>, e nuovi spazi urbani, come Human Graffiti<\/strong><\/em>, progetto di interazione multidisciplinare realizzato tra Tel Aviv, Londra, Praga<\/strong> e Venezia<\/strong>. Occasioni, queste, per identificare ed amplificare un\u2019idea mettendola sotto una lente di ingrandimento, e per sottolineare che la moda \u00e8 \u00abuno strumento per sviluppare una narrativa, fare una domanda, a volte per provocare\u00bb, raccontano i due fondatori.<\/p>\n\n\n\n

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I’m feeling lucky – Muslin Brothers – Jerusalem Design Week 2017 – Credit Dor Kedmi <\/figcaption><\/figure>\n\n\n\n

Per la Jerusalem Design Week 2017, l\u2019installazione I\u2019m Feeling Lucky<\/em> indagava uno dei temi pi\u00f9 ricorrenti nella loro produzione: l\u2019uniforme, intesa sia come l\u2019abito attraverso il quale si costruisce l\u02bcidentit\u00e0, sia come l\u2019uniforme militare e l\u2019abito da lavoro che hanno definito l\u2019immaginario di Israele. In un deserto artificiale illuminato da una luce fluorescente, il giubbotto militare M65<\/em>, reso tristemente celebre dalla guerra in Vietnam, veniva declinato in 80 capi che i visitatori potevano provare per qualche minuto. Cos\u00ec, si era parte dell\u02bcopera e al tempo stesso questo genere di indumento perdeva la sua connotazione politica e sociale.<\/p>\n\n\n\n

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Muslin Brothers – Collezione SS17<\/figcaption><\/figure>\n\n\n\n

Oggi, il duo si \u00e8 spostato tra Olanda e Belgio, dove ha scelto, senza mettere da parte il proprio marchio commerciale, di consacrarsi a una ricerca che ruota attorno ai temi dell\u2019uniforme e dell\u2019essenzialit\u00e0. delle cose, di cui ognuno di noi ha bisogno. \u00ab\u00c8 tempo di interrogarsi su quanti vestiti dobbiamo produrre, su cosa succeda ai vestiti che non vendiamo e ai materiali che non usiamo, su quante versioni di uno stesso capo siamo costretti a realizzare per completare una collezione, su come possiamo fare per avere pi\u00f9 controllo su quello che produciamo, e qual \u00e8 il processo che ci permette di farlo al meglio. L\u2019ultimo, e radicale, atto di trasformazione, la rivoluzione che permette di esplorare confini in continuo rinnovamento, dando forma a progetti e ideali di vestibilit\u00e0 ancora da identificare.<\/p>\n\n\n\n

Publicato sul numero di aprile 2019 di Icon Design e su <\/em>Icondesign.it<\/em><\/a><\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"

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