{"id":3174,"date":"2018-12-22T08:52:40","date_gmt":"2018-12-22T08:52:40","guid":{"rendered":"https:\/\/giuliazappa.net\/life-design-il-segreto-della-felicita\/"},"modified":"2018-12-22T08:52:40","modified_gmt":"2018-12-22T08:52:40","slug":"life-design-il-segreto-della-felicita","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/giuliazappa.net\/en\/life-design-il-segreto-della-felicita\/","title":{"rendered":"Life Design. Il segreto della felicit\u00e0"},"content":{"rendered":"\n

E se il design aiutasse a costruire lavori e carriere felici? A pensarlo sono in molti, come spiegato da questo focus. Se volete approfondire l\u2019argomento, e conoscere la storia di Oblong, societ\u00e0 nata in California nel 2006 per rendere il lavoro pi\u00f9 efficace grazie alla tecnologia, non vi resta che sfogliare il nostro magazine.

\u201cCosa dovrei fare della mia vita?<\/em>\u201d. Non nascondiamocelo: \u00e8 una domanda che ha toccato ognuno di noi in maniera assillante, e spesso ben oltre gli anni complicati \u2013 almeno cos\u00ec vuole lo stereotipo \u2013 della nostra adolescenza. La differenza, oggi, \u00e8 che dopo millenni di raccomandazioni volte a tramandare caste, promuovere professioni o nuovi modelli di autoimprenditorialit\u00e0, il nostro immaginario e con esso l\u2019orizzonte delle nostre aspirazioni pu\u00f2 contare su un nuovo, insospettato strumento per intraprendere una carriera in grado di renderci davvero felici: il design.Life Design. Il segreto della felicit\u00e0

DESIGN COACHING
Che la progettazione potesse essere il segreto di una vita piena e felice era, finora, cosa nota solo a quei pochi designer che, guidati da una passione irrefrenabile, l\u2019hanno scelta per mestiere, spesso al netto di stipendi mediocri e lunghe nottate davanti a un computer. A quasi nessuno, per\u00f2, passava per la mente che il design avrebbe potuto fare la felicit\u00e0 di altre persone e carriere, incluse quelle che con la creativit\u00e0 non hanno nulla a che fare.
Ebbene, da qualche tempo questo pregiudizio \u00e8 stato abbattuto, complice l\u2019irrefrenabile attivit\u00e0 di divulgazione di due designer americani, Bill Burnett<\/strong> e Dave Evans<\/strong>, da tempo convertitisi in formatori di ultima generazione. Il libro che hanno scritto per raccontare la loro esperienza, Designing your Life. How to Build a Well-lived, Joyful Life<\/em> (Knopf, New York 2016), non ha solo incontrato un enorme successo di pubblico, ma \u00e8 stato accolto con grande favore anche da autorevolissimi designer americani \u2013 tra cui David Kelley<\/strong>, co-fondatore della pi\u00f9 importante agenzia di design thinking mondiale, IDEO \u2013, i quali l\u2019hanno coronato come il libro di crescita personale pi\u00f9 adatto a traghettarci nella transizione verso il prossimo decennio. Il segreto di questa nuova, apparentemente insospettabile arma? L\u2019idea di usare il design come un metodo per ripensare \u2013 perch\u00e9 no, persino rivoluzionare \u2013 non solo una vasta gamma di prodotti, ma anche ci\u00f2 che, in tempi di societ\u00e0 liquida, esperienziale e decisamente narcisistica, ha finito per acquisire una rilevanza quasi ossessiva: la pienezza della nostra esistenza.

CHI SONO BURNETT E EVANS
Ora, impossibile non identificarsi negli scettici che saranno tentati di liquidare quest\u2019ultima uscita fuori campo come una moda sconclusionata destinata a evaporare dopo aver reso ricco l\u2019ennesimo formatore di turno. Dopo anni di costante espansione \u2013 e conseguente delegittimazione \u2013 dell\u2019applicazione della parola \u2018design\u2019 a qualsiasi settore, cosa ci convince che si tratti di una disciplina buona per tutte le stagioni? E perch\u00e9 credere, soprattutto, che design e crescita personale rappresentino un binomio efficace, destinato a fare la differenza?
Ebbene, prima di bollare il neonato life design<\/em> come una boutade, iniziamo col precisare che i curriculum di Burnett ed Evans conferiscono loro una qualche credenziale. Il primo, oggi 60enne, pu\u00f2 vantare non soltanto una laurea e un master in Product Design all\u2019Universit\u00e0 di Stanford (l\u2019eccezione alla regola che in fondo una laurea oggi non si nega a nessuno), ma soprattutto collaborazioni con gruppi di progettazione leggendari, ad esempio quello del PowerBook Apple. Il secondo, anch\u2019egli solo apparentemente alla soglia della pensione \u2013 sospettiamo che il solo fatto di menzionarla tradisca tutto il nostro passatismo \u2013, dopo una laurea in ingegneria meccanica e un successivo diploma in \u201cSpiritualit\u00e0 Contemplativa\u201d al Seminario Teologico di San Francisco, ha lavorato nel campo delle energie alternative e del biomedicale, approdando infine a Apple.
Entrambi professori nella beneamata Stanford, sono i fondatori dello Stanford Life Design Lab, il cui obiettivo \u00e8 guidare gli studenti a individuare il percorso lavorativo che pi\u00f9 corrisponde alle proprie aspirazioni, ideali e inclinazioni. Il loro metodo, che i due definiscono un prototipo in continua messa a punto da oltre quindici anni, ha formato oltre 2mila studenti nell\u2019universit\u00e0 californiana, contribuendo allo stesso tempo a divulgare i principi del life design in tutto il mondo. Accanto alla loro attivit\u00e0 di docenti, Burnett ed Evans affiancano anche iniziative di coaching rivolte a professionisti, che attraverso workshop e retreats<\/em>dedicati stanno diffondendo la loro visione in qualsiasi settore, inclusi gli psicologi e i formatori che per la prima volta si avvicinano alla design theory.

MA QUALE VOCAZIONE!
Ma quali, dunque, i presupposti in grado di fare la differenza? Quali l\u2019aura e l\u2019attrattivit\u00e0 che hanno reso il loro corso universitario il pi\u00f9 agognato e frequentato di Stanford? Innanzitutto, un certo olismo hippie tipicamente da West Coast \u00e8 il primo aspetto a marcare il passo rispetto ai competitor. Secondo il life design di Burnett e Evans, meglio sgomberare il campo da qualsiasi credenza disfunzionale orientata alla mera performance. Ad esempio, quello per cui possa essere troppo tardi per un cambio di carriera: tutto, oggigiorno, \u00e8 estremamente fluido nelle nostre vite, ed \u00e8 proprio questo fluire a conferire pienezza e vitalit\u00e0.
Messo da parte qualsiasi presupposto giudicante, meglio anche smettere di farsi abbacinare \u2013 ripetono come un mantra \u2013 dalla ricerca delle passioni: tutti gli studi cognitivi dimostrano che solo il 20% delle persone manifesta una passione totalizzante fin dalla tenera et\u00e0. La maggior parte di noi, al contrario, \u00e8 attratta da interessi molteplici, e sono le esperienze e il caso a determinare il pi\u00f9 delle volte quale professione finiamo per imboccare. Non sar\u00e0 dunque un\u2019unica chiamata vocazionale a renderci contenti: molto probabilmente, saranno tante le versioni di noi, umane come professionali, in grado di appagarci fino a renderci felici.
Al tempo stesso, avvertono gli autori, \u00e8 anche necessario fare piazza pulita dell\u2019equazione \u201csuccesso = retribuzione e\/o potere\u201d. Sono tanti, avvertono dall\u2019alto della loro esperienza, coloro che, a dispetto di un lavoro da fuoriclasse, non si sentono realizzati perch\u00e9 non in linea con i propri valori o con la possibilit\u00e0 di incidere nella propria comunit\u00e0.

PROTOTIPARSI
\u00c8 dopo aver enucleato queste fondamentali premesse, per\u00f2, che il life design inizia ad assumere una veste propriamente progettuale. Non riusciamo a intravedere il prossimo passo nella nostra carriera? Prototipiamolo con gli strumenti del design thinking, disciplina metaprogettuale nata negli Anni Settanta negli Stati Uniti e interessata a capire quali sono i presupposti e il metodo in grado di dare vita a un buon oggetto o a un servizio \u201cdi design\u201d. Per prototipare il nostro nuovo io dobbiamo adottare la mentalit\u00e0 di un designer a cui \u00e8 stato affidato il compito di sviluppare un nuovo prodotto.
Dice il design thinking che ogni progettista, anche se non necessariamente in maniera consapevole, segue una precisa filiera per generare e affinare le idee: comincia innanzitutto analizzando il contesto e gli utenti che vi operano, quindi ridefinisce il problema evidenziando dove ne risiedono le fallacie, e solo successivamente lo risolve attraverso la generazione di nuovi spunti \u2013 i famosi concept \u2013, alcuni dei quali realmente inaspettati. Con la fase di prototipazione \u2013 che non si esaurisce mai con il primo prototipo, attenzione! \u2013 le idee prendono una forma concreta, che sar\u00e0 poi comprovata e reiterata in fase di test, verificando l\u2019esito dell\u2019utilizzo fino a decretarne utilit\u00e0 e bont\u00e0.
Come resettare, dunque, la nostra carriera? Burnett ed Evans suggeriscono di pensare a tre possibili profili occupazionali nei quali ci piacerebbe riconvertirci nell\u2019arco di cinque anni \u2013definiti, facendo propria la metafora del viaggio, i Five-Year Odyssey Plans<\/em> \u2013, meglio senza farsi influenzare da pregiudizi o aspettative di ritorni economici (\u201ccosa ti piacerebbe fare se non dovessi guadagnare per tre anni?<\/em>\u201d, o \u201ccosa faresti se non ti facessi influenzare dai giudizi degli altri?<\/em>\u201d).
Inventati questi tre possibili profili, \u00e8 necessario sfidarne audacia e fattibilit\u00e0, mettendone alla prova il potenziale narrativo. Messo in conto che nessun salto di carriera \u00e8 esente da ostacoli o indenne dal fallimento, la condivisione con gli altri dei nostri nuovi progetti di vita, il confronto con professionisti che gi\u00e0 operano in settori contigui e l\u2019analisi e la ridefinizione delle criticit\u00e0 evidenziate pu\u00f2 contribuire a mettere in luce un percorso concreto, capace indirizzarci verso la nostra prossima tappa professionale.
E se scegliere si rivela complicato, Burnett e Evans ci spronano anche in questo caso ad adottare la forma mentis<\/em> dei designer: scorrendo tutte le possibilit\u00e0 disponibili, eliminando quelle che non appaiono convincenti, e quindi mettendo le restanti di fronte a un confronto serrato. Il tutto senza facili ritorni alla casella di partenza: se vogliamo cambiare lavoro, meglio chiuderci la famosa porta dietro le spalle \u2013 anche in questo caso, un dato emerso dalla psicologia cognitiva, che ha sancito come difficilmente rimpiangiamo le scelte irreversibili, ma soffriamo piuttosto per tutte quelle che restano incompiute, lasciate a met\u00e0.
Sempre dalla psicologia cognitiva arriva un\u2019altra raccomandazione solo apparentemente banale: fidarsi del proprio istinto funziona sempre, non solo perch\u00e9 questo esprime e sintetizza i nostri valori, ma anche perch\u00e9 ogni decisione esclusivamente razionale non fa che sfuggire a quel coacervo di sentimenti e sesto senso \u2013 che dunque esistono \u2013 annidati nella nostra corteccia celebrale. Il tutto, auspicabilmente, potendo contare su un pizzico di fortuna, una dea solo apparentemente bendata che secondo Burnett e Evans \u00e8 possibile progettare, allenando in maniera compulsiva la nostra creativit\u00e0 e allargando la vista periferica a tutte le occasioni \u2013 perch\u00e9 le occasioni inevitabilmente arrivano \u2013 che si possono presentare.

PSICOLOGIA COGNITIVA E SITUAZIONISMO
Centrato sulla resilienza, l\u2019empatia e la proattivit\u00e0, questo manuale per la riprototipazione del s\u00e9 vede nell\u2019autoimprenditorialit\u00e0 un esito praticamente scontato. Una visione, questa, decisamente in linea con la tradizione americana, che non solo ha fatto del self-made man il mito fondante della narrativa nazionale, ma permea profondamente anche gli anni di formazione universitaria, durante i quali gli studenti \u2013 anche e soprattutto di design \u2013 sono continuamente spronati a creare start-up innovative e commercialmente redditizie, spesso seguendo i concetti di desiderability<\/em>, feasability<\/em> e viability<\/em> tanto cari al design thinking.
Eppure, non mancano spunti che fanno della complessit\u00e0 critica la chiave di volta per ripensare la nostra vita personale e comunitaria attraverso design. Fondato da Stuart Candy<\/strong> e Jeff Watson<\/strong>, il Situation Lab \u00e8 un laboratorio di ricerca indirizzato a elaborare alcuni scenari e \u201cconversazioni\u201d a carattere immersivo. \u201cFuturisti scettici<\/em>\u201d, secondo la stessa appellazione di Candy, i due sembrano abbandonare il diffuso orientamento americano per la psicologia cognitiva a favore di un approccio legato alla cortocircuitazione fra narrazione, architettura e teoria dei giochi vicina alla matrice del Situazionismo. La complessit\u00e0 di cui si fanno portatori \u00e8 forse una delle ragioni per cui i loro progetti propongono soluzioni spesso controintuitive.
Il loro ultimo lavoro, NaturePod\u2122, \u00e8 un visore pensato per ristabilire una connessione efficace tra uomo e natura, ricreando \u201cin remoto\u201d (e in particolare sul luogo di lavoro) quel benessere psicofisico che solo la permanenza in un ambiente naturale ci sa dare. Accomodandoci su una sorta di sedia per massaggi multimediale e posizionando gli occhi su di un binocolo integrato, \u00e8 possibile guardare immagini di foreste, prati e ruscelli per ricreare i benefici psicofisici di una passeggiata bosco. Il messaggio \u00e8 consapevolmente paradossale e resta inevitabilmente aperto: come possiamo associare la natura a un\u2019esperienza da dispositivo? La nostra vita pu\u00f2 migliorare se la natura diventa una dimensione esclusivamente virtuale? Vogliamo realmente vivere in un mondo di questo tipo?

ANCHE IN ITALIA\u2026
Al di l\u00e0 degli Stati Uniti, il life design sembra diluire questa vocazione a favore di un pi\u00f9 largo e annacquato sentimento di benessere, talvolta centrato sull\u2019armonia di case e interni (come ci insegnano i concetti di hygge<\/em> e lagom<\/em> tanto cari agli scandinavi e oggi sulle prime pagine di tutti i giornali di arredamento), o pi\u00f9 spesso ridotto a slogan da parte di un numero ormai fuori controllo di formatori personali.
In Italia, a fronte di pochissime persone che hanno avuto esperienze dirette con i workshop certificati di life design, l\u2019opera di divulgazione \u00e8 appena iniziata: i Brera Design Days, ottobrata milanese del design diretta da Studio Labo<\/strong> (fondato da Paolo Casati<\/strong> e Cristian Confalonieri<\/strong>), hanno fatto proprio questo tema con una rilettura aperta ma rigorosa, declinando la definizione del rapporto design&vita secondo gli spunti della cultura progettuale italiana.
Messi da parte gli epigoni che ancora ci spronano ad abbracciare la \u201cversione migliore di noi stessi\u201d, resta il tempo per riflettere se il design non ci abbia gi\u00e0 cambiato abbastanza attraverso le idee e i prodotti che ha generato in questi anni. E se identificare anche la nostra sfera personale con il mantra del progetto sia una sfida da cogliere, o solo un\u2019ennesima ossessione di questi tempi design-oriented<\/em>.

\n\nPubblicato su Artribune Magazine #46 e su Artribune.com il 22 dicembre 2018\n\n\n\n

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E se il design aiutasse a costruire lavori e carriere felici? A pensarlo sono in molti, come spiegato da questo focus. Se volete approfondire l\u2019argomento, e conoscere la storia di Oblong, societ\u00e0 nata in California nel 2006 per rendere il lavoro pi\u00f9 efficace grazie alla tecnologia, non vi resta che sfogliare il nostro magazine. \u201cCosa … <\/p>\n