{"id":3195,"date":"2018-04-16T07:10:04","date_gmt":"2018-04-16T07:10:04","guid":{"rendered":"https:\/\/giuliazappa.net\/design-vegano-la-missione-radicale-di-erez-nevi-pana\/"},"modified":"2018-04-16T07:10:04","modified_gmt":"2018-04-16T07:10:04","slug":"design-vegano-la-missione-radicale-di-erez-nevi-pana","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/giuliazappa.net\/en\/design-vegano-la-missione-radicale-di-erez-nevi-pana\/","title":{"rendered":"Design vegano. La missione radicale di Erez Nevi Pana"},"content":{"rendered":"
Eliminare l\u2019uso di tutti i materiali che contengono componenti animali. \u00c8 questa la missione (quasi) impossibile di Erez Nevi Pana che, ispirato dal desiderio di rendere il design pi\u00f9 giusto, ripensa le modalit\u00e0 di produzione di arredi e artefatti. Scoprendo che l\u2019etica \u00e8 un ottimo apripista non solo per nuovi concetti, ma anche per risultati formali imprevedibili e accattivanti.<\/strong><\/p>\n Nella rivendicazione incessante \u2013 e peraltro spesso disattesa nei fatti \u2013 di un presupposto di sostenibilit\u00e0 nei tanti prodotti presentati al Salone del Mobile, imbattersi in un progetto che si autodefinisce \u201cvegano\u201d costituisce un motivo di sorpresa, finanche, non neghiamolo, di sottile incredulit\u00e0. \u201cDesign vegano\u201d: a chi sar\u00e0 venuta in mente questa nuova, accattivante buzzword, e cosa vorr\u00e0 dire esattamente? E ancora: a fronte delle enormi sfide che la nostra societ\u00e0 sta affrontando a livello globale per rispondere alle emergenze ambientali, \u00e8 proprio necessario fare dell\u2019assenza di componenti animali in un materiale il fattore prioritario attraverso il quale innescare il ciclo di vita di un prodotto? Una mostra prodotta da 5vie art+design con la curatela di Maria Cristina Didero, Vegan Design \u2013 Or the Art of Reduction, tenta di mettere a fuoco una possibile lettura del problema, presentando l\u2019opera del giovane designer israeliano Erez Nevi Pana, per la prima volta sotto i riflettori del grande pubblico internazionale del Salone.<\/p>\n UNO CHOC CATARTICO<\/strong> NUOVE SOLUZIONI<\/strong> NUOVE POSSIBILIT\u00c0<\/strong> Pubblicato su Artribune Magazine #42 \u2012 Speciale Design e su Artribune.com<\/a> il 16 aprile 2018<\/em><\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":" Eliminare l\u2019uso di tutti i materiali che contengono componenti animali. \u00c8 questa la missione (quasi) impossibile di Erez Nevi Pana che, ispirato dal desiderio di rendere il design pi\u00f9 giusto, ripensa le modalit\u00e0 di produzione di arredi e artefatti. Scoprendo che l\u2019etica \u00e8 un ottimo apripista non solo per nuovi concetti, ma anche per risultati … <\/p>\n
\nClasse 1983, un master ad Eindhoven, oggi fiero cittadino del mondo con progetti sparsi tra l\u2019India, l\u2019Austria e il suo Paese natale, Nevi Pana rivendica con grandissimo rigore etico la necessit\u00e0 di un tentativo progettuale che \u00e8 scaturito da una scottante esperienza personale. Uno choc catartico, quello che ha condiviso con Artribune: \u201cSono diventato vegano cinque anni fa, quando ho assistito al rapimento di un capretto appena nato dalla sua mamma. L\u2019impotenza della madre che correva dietro all\u2019uomo che le aveva preso il figlio mi ha semplicemente ucciso, facendomi rendere conto delle atrocit\u00e0 che noi finanziamo e della sofferenza che infliggiamo agli animali per soddisfare il nostro palato. Qualche settimana dopo, stavo tessendo un tappeto nel mio studio di Eindhoven e ho realizzato che dovevo cambiare i materiali che stavo utilizzando per ottenere un\u2019espressione in linea con i miei valori. A partire da quel momento, mi sono gettato a capofitto nel trovare il bandolo della matassa che lega la moralit\u00e0 alla materia\u201d.
\nUn bandolo, dunque, che impone innanzitutto una vera e propria \u201cdieta\u201d rispetto al ventaglio di materiali a cui i designer fanno generalmente ricorso. \u201cIl legno \u00e8 vegano\u201d, ci spiega ancora Nevi Pana, \u201cma una sedia di legno non \u00e8 necessariamente vegana perch\u00e9 la colla e la carta vetrata sono composte entrambe da ingredienti animali\u201d. La lista dei materiali e delle componenti proibite diventa quindi insospettabilmente lunga: pensiamo solo alla lana, alla pelle, alla vernice, alla plastica e alle resine, ma anche ai guanti di gomma utilizzati per lavorare.<\/p>\n
\nCome superare, allora, l\u2019impasse creata da questo regime di ristrettezza? Il primo, imprevisto scarto d\u2019ingegno a cui fare ricorso, Nevi Pana l\u2019ha individuato nel genius loci del proprio Paese, e in particolare in quel Mar Morto che forse pi\u00f9 di ogni altro elemento geografico caratterizza l\u2019unicit\u00e0 di questa terra a Levante. Nel ciclo Salt, che vediamo esposto in questi giorni allo Spazio Sanremo, alcuni sgabelli in legno mostrano l\u2019esito di un particolarissimo processo di cristallizzazione. Assemblati con una speciale colla vegana, formula elaborata dallo stesso Nevi Pana, e quindi bloccati ai fondali del Mar Morto, si sono impregnati di quel sale che impedisce la creazione di qualsiasi forma di vita, generando sul legno incrostazioni dalla forma imprevedibile che conferiscono all\u2019oggetto una dimensione di nuovo primitivismo, in linea con la componente mistica del territorio dal quale provengono. Ancora, i cestini della collezione Wasted, realizzati in India sulla falsariga delle pratiche locali di recupero degli scarti, sono realizzati con materiali poveri quali bamb\u00f9 e semi, mentre le sete di Peace Silk sono tessute a partire da bozzoli che vengono raccolti solo dopo che le farfalle li hanno liberamente abbandonati.<\/p>\n
\nUn\u2019opportunit\u00e0, quella della riduzione che il titolo della mostra invoca, ben colta da Maria Cristina Didero, la quale gi\u00e0 al primo incontro con Nevi Pana aveva intuito il grande potenziale insito nella radicalit\u00e0 con cui Nevi Pana riorganizza le proprie strategie di problem solving, aprendosi a esiti imprevedibili e non scontati. Ci racconta: \u201cHo conosciuto Erez due anni fa a Tel Aviv. Ho condiviso con lui un mio progetto \u2013 per il quale sto tuttora facendo ricerca \u2013 sulle abitazioni e gli interni degli ebrei ultraortodossi, i Hasidim. Erez era molto stupito del mio interesse in merito a questo argomento. Era timido, riservato e solo dopo qualche ora mi ha confessato che faceva il designer, e allora gli ho chiesto di pi\u00f9. Seduti al bar, ho ordinato un hamburger, con leggerezza ovviamente. Cos\u00ec lui mi ha detto di essere vegano. Ho poi scoperto il suo approccio totalizzante al mondo del progetto. Sono stata affascinata dal suo pensiero e dal modo in cui lo applica alle cose di tutti i giorni oltre, appunto, al suo lavoro. Ho finito di mangiare il mio hamburger e abbiamo iniziato a lavorare insieme\u201d.
\nUn processo di liberazione dalla carne, quello dunque invocato da Nevi Pana? Certamente, anche se sembrerebbe riduttivo limitare l\u2019impatto della sua proposta a questa pur rispettabilissima componente etica. A rendere il progetto pi\u00f9 risonante c\u2019\u00e8 innanzitutto il potenziale di una ricerca che, attraverso la costruzione puntuale di un nuovo dizionario delle possibilit\u00e0 di produzione, ha tutte le carte in regola per legare l\u2019esistenza di vincoli alla generazione di nuove occasioni di espressione. Riscattando gli esiti formali assai poveri degli artefatti alternativi di cui si vanta spesso la cultura ambientalista, e trasformando la testardaggine di un designer in un nuovo meccanismo di seduzione.<\/p>\n