{"id":3206,"date":"2017-12-22T13:02:36","date_gmt":"2017-12-22T13:02:36","guid":{"rendered":"https:\/\/giuliazappa.net\/il-superdesign-della-stagione-radicale-intervista-a-maria-cristina-didero\/"},"modified":"2017-12-22T13:02:36","modified_gmt":"2017-12-22T13:02:36","slug":"il-superdesign-della-stagione-radicale-intervista-a-maria-cristina-didero","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/giuliazappa.net\/en\/il-superdesign-della-stagione-radicale-intervista-a-maria-cristina-didero\/","title":{"rendered":"Il SuperDesign della stagione radicale. Intervista a Maria Cristina Didero"},"content":{"rendered":"

Attraverso una mostra, un libro e un film, Maria Cristina Didero ricostruisce a distanza di cinquant\u2019anni il profilo di una stagione shock del progetto italiano. In cui il legame inedito tra ideologia & pop si era trasformato in uno strumento sovversivo, per radere al suolo e ricominciare a pensare, con molta ironia, la nostra dimensione sociale e identitaria attraverso una nuova cultura dell\u2019abitare.<\/strong><\/p>\n

Una stagione\u00a0Super<\/em>, oggi pi\u00f9 che mai sotto la lente di ingrandimento di specialisti, pubblico e collezionisti trova in un libro, un\u2019esposizione e un film un\u2019occasione preziosa di indagine e approfondimento.\u00a0SuperDesign<\/em>\u00a0\u00e8 il titolo della mostra che\u00a0Maria Cristina Didero<\/strong>, tra i nomi di punta nel giornalismo e nella curatela nel campo del design in Italia (e non solo), ha curato a New York presso la galleria R&Company. Accanto, un volume omonimo edito da Monicelli Press e un film documentario scritto dalla stessa Didero con\u00a0Francesca Molteni<\/strong>, che lo ha diretto, ricostruiscono, attraverso una ricerca personale durata quasi vent\u2019anni, l\u2019irripetibile congiuntura storica, sociale e progettuale che ha plasmato gli esiti concettuali e formali di questa generazione di giovani architetti sul finire degli Anni Sessanta. I quali, per parafrasare le parole di Pietro Derossi del Gruppo Strum, non volevano costruire musei come accade oggi, ma discoteche.
\nIcona di una libert\u00e0 irriverente ma mai spocchiosa, che usava la cultura popolare non come uno strumento per un\u2019apologia vernacolare quanto come un archetipo bonario con cui rivendicare l\u2019azione di un\u2019immaginazione inquieta e strabordante, la stagione radicale ha messo in discussione dalle fondamenta le certezze e il buon gusto cos\u00ec come fino ad allora la storia del mobile le aveva conosciute. Divani a forma di bocca e attaccapanni a forma di cactus sono per\u00f2 solo la punta dell\u2019iceberg di un\u2019elaborazione speculativa, prima ancora che di una progettazione concreta, di cui la Didero ricostruisce il paradigma anche attraverso i racconti e le riflessioni che le sono stati affidati dai protagonisti del \u201cmovimento\u201d. Per approfondire le coordinate di questa irripetibile esperienza del design italiano e per sapere un po\u2019 di pi\u00f9 di questo ambizioso progetto di indagine abbiamo incontrato l\u2019autrice.<\/p>\n

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L\u2019incubazione di SuperDesign \u00e8 stata particolarmente lunga e articolata. Ci racconti come \u00e8 nato il progetto?<\/strong>
\nHo iniziato a seguire questo tema all\u2019inizio del Duemila; ho avuto l\u2019occasione di collaborare per anni con Dakis Joannou, uno dei pi\u00f9 grandi collezionisti di arte contemporanea oltre che di questo affascinante periodo. Dakis ha una sana ossessione per le produzioni del tempo, nel \u201868 era uno studente a Roma e ha vissuto in prima persona le vicissitudini sociali e politiche che lo hanno caratterizzato. Grazie a lui ho avuto modo di approfondire diverse tematiche, conoscere i protagonisti e ovviamente appassionarmi sempre pi\u00f9 al mondo dei radicali. Poi c\u2019\u00e8 stato 1968, il libro a opera di Maurizio Cattelan e Pierpaolo Ferrari; una pubblicazione volutamente voluminosa, costituita solo da una serie di fotografie, immagini dissacranti che interpretano \u2012 come solo loro due sanno fare \u2012 i pezzi appartenenti alla raccolta di Joannou oltre a disegni di Alessandro Mendini e un mio testo di introduzione. Poi l\u2019incontro con Evan Snyderman nel 2014, che mi ha mostrato la sua collezione, base fondante della mostra ora a New York e da qui anni di ricerca in giro per l\u2019Italia e non solo per arricchire ci\u00f2 che gi\u00e0 avevamo in mano. Infine, \u00e8 seguita l\u2019idea di aggiungere una pubblicazione e poi un film.<\/p>\n

Un libro, una mostra, un film. Come si integrano questi tre livelli per raccontare la storia del design radicale?<\/strong>
\nIl progetto SuperDesign \u00e8 composto appunto da questi tre elementi: mostra, libro e film. La mostra alla R&Company presenta i pezzi pi\u00f9 significativi del periodo \u2012 prodotti di quegli anni dove il tempo ha lasciato visibilmente la propria traccia \u2012 e si arricchisce di diversi prestiti da parte di Dennis Freedman, altro grande collezionista di design radicale di base a New York, che il prossimo anno porter\u00e0 i suoi oggetti all\u2019interno di una delle istituzioni statunitensi pi\u00f9 importanti. Il volume (pubblicato da Monacelli Press con testi di Dejan Sudic e Catherine Rossi e una prefazione di Snyderman) rappresenta in sostanza il catalogo della mostra, tratta gli autori i cui oggetti sono presenti all\u2019interno di SuperDesign. Il film che ho avuto il piacere di realizzare con Francesca Molteni, letteralmente catapultata in questo universo, intende mostrare come il design radicale \u00e8 vissuto oggi dagli stessi protagonisti, cosa \u00e8 rimasto del tempo, le discrepanze e le vicinanze, le opinioni sempre e preferibilmente diverse, l\u2019intensit\u00e0 dei ricordi di coloro che hanno vissuto uno dei periodi pi\u00f9 intensi della nostra storia e che hanno a mio parere scritto le pagine pi\u00f9 belle del design internazionale. Qualcuno era felice di farlo, qualcun altro meno \u2013 ringrazio tutti per la pazienza che hanno avuto con noi.<\/p>\n

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Come avete costruito il film?<\/strong>
\nPer il film abbiamo costruito un format di domande (pi\u00f9 o meno) uguale per tutti proprio per sondare la disomogeneit\u00e0 delle risposte \u2013 caratteristica peculiare di questo periodo poich\u00e9 le diverse interpretazioni di questo virus sono alla base del suo stesso fascino. Oltre a Pettena, Binazzi, Derossi, Gilardi, Audrito Branzi, Corretti, Bartolini, La Pietra, Mendini, Raggi abbiamo anche intervistato coloro che sono stati comunque vicini all\u2019argomento, come Germano Celant, diversi collezionisti, Pesce, Meloni di Poltronova e Vezza di Gufram e Emilio Ambasz, curatore della famosa mostra del 1972 al MoMa di New York, colui che fece conoscere agli americani la creativit\u00e0 italiana del tempo. Possiamo dire quindi che SuperDesign \u00e8 un progetto unico, composto da questi tre elementi.<\/p>\n

Come \u00e8 stata accolta la mostra a New York? Che rapporto ha il pubblico del design di oltreoceano con questo pezzo di storia del design? Una storia, peraltro, che anche loro hanno contribuito ad affermare con Italy: The New Domestic Landscape.<\/strong>
\nDevo confessare che c\u2019\u00e8 stato davvero tanto interesse a New York e sono felice di questo. Charlie Standig, il primo importatore di Gufram e Poltronova negli Stati Uniti chiamava (e chiama tutt\u2019ora) questi oggetti \u201cfantasy pieces\u201d, proprio perch\u00e9 al tempo erano cos\u00ec lontani dalla cultura americana da suscitare grande curiosit\u00e0 e stupore \u2012 poi Marisa Berenson fu ritratta sulle pagine di Life stesa su un divano Bocca di Studio65. Franco Audrito, il fondatore del gruppo, a quel tempo faceva fatica a sbarcare il lunario mentre la sua Bocca conquistava gli Stati Uniti. Li la chiamavano Marylin!<\/p>\n

Le mostre come Utopie Radicali o come quella da te curata a Torino nel 2015 su Studio 65, il successo delle riedizioni di Gufram, in un certo senso anche la vera e propria celebrazione per l\u2019eredit\u00e0 di Sottsass, una sorta di padre putativo \u2013 o fratello maggiore, come suggerisce Emilio Ambasz \u2013 del movimento. Il periodo radicale sembra tornato prepotentemente in auge in questi ultimi anni: cosa ci attrae di questa identit\u00e0?<\/strong>
\n\u00c8 vero, c\u2019\u00e8 molta curiosit\u00e0 negli ultimi anni per questo argomento. Per me non \u00e8 una novit\u00e0 occupandomene da anni, ma ovviamente questo rinnovato interesse mi fa molto piacere. Al netto delle dinamiche del collezionismo, credo che questa attenzione nasca da una sorta di scoperta, o riscoperta. E quando si scopre qualche cosa, sembra sempre e comunque una novit\u00e0.<\/p>\n

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Allo stesso modo, in che modo questa riscoperta coincide con una canonizzazione? Quale aspetto del loro messaggio \u2013 l\u2019invito alla libert\u00e0, l\u2019ironia, il rovesciamento di cultura alta e bassa? \u2013 pensi sia stato assimilato, digerito? Quale invece si \u00e8 perso dal nostro orizzonte del presente?<\/strong>
\nNon so se parlare di canonizzazione, questa parola non piacerebbe ai protagonisti di quel periodo. L\u2019invito alla libert\u00e0, al capovolgimento dei canoni, la voglia di trovare un nuovo linguaggio, la vicinanza alle questioni sociali e politiche sono tutte coordinate cruciali per comprendere l\u2019atmosfera del tempo. E come dico nel mio testo, allora si parlava di diritti, di valori che sarebbe bene considerare eterni e che non dovrebbero avere una data di scadenza. Questi autori, ognuno in modo diverso e secondo il proprio codice espressivo, parlavano di quei valori fondamentali per cui noi ci sentiamo esseri umani. Questo sarebbe bene ricordarlo sempre, al netto della nuova voga radicale. E comunque s\u00ec, si creava con l\u2019idea di trasmettere un messaggio dai diversi piani interpretativi, al netto dell\u2019estetica e della funzionalit\u00e0. Il mio testo si intitola \u201cWhen design wanted to change the world\u201d che \u00e8 ovviamente un titolo fortemente romantico, ma credo rifletta le intenzioni di tanti al tempo.<\/p>\n

Inizi il tuo saggio dicendo: \u201cC\u2019\u00e8 stato un momento nella storia recente in cui tutto sembrava possibile\u201d. A distanza di cinquant\u2019anni, mentre siamo diventati post-ideologici e ci siamo abituati a pensare che tutto sia impossibile, sostieni e prevedi che \u201cripensare tutto il mondo sia possibile\u201d. <\/strong>
\nNon ho la palla di vetro ma questo me lo auguro! Certo la forza e la volont\u00e0 dei tempi sono una meta difficile da eguagliare ai giorni nostri\u2026 Ma c\u2019\u00e8 sempre speranza, no? Non voglio sembrare retorica, ma speranza e volont\u00e0 possono essere un buon binomio, no?<\/p>\n

Come intravedi questa possibilit\u00e0 di cambiamento e qual \u00e8 il ruolo dei nostri giovani progettisti?<\/strong>
\nNon si possono fare paragoni. Ci\u00f2 che \u00e8 successo tra la met\u00e0 degli Anni \u201860 e \u201870 non \u00e8 lontanamente paragonabile a oggi. Allora il contesto sociale, politico, economico era totalmente diverso anche se purtroppo i valori per cui si battevano al tempo non sono stati acquisiti dappertutto, quindi questa \u00e8 una ferita ancora aperta. In merito ai giovani progettisti, dovrebbero lavorare per trovare la propria strada e se questa combina etica e creativit\u00e0, tanto meglio \u2013 e guardandomi intorno riesco a essere positiva.<\/p>\n

\u00c8 pur vero che questa carica di fertile irriverenza \u2013 e forse, diciamocelo, di spessore concettuale \u2012 oggi sembra francamente archiviata. Che ne pensi?<\/strong>
\nRipeto, sono e voglio essere positiva. Ci sono personaggi che anche oggi portano avanti il proprio lavoro con una certa integrit\u00e0 intellettuale, che guardano al rispetto del nostro pianeta, alla sostenibilit\u00e0 e alla collaborazione sociale come base fondamentale del proprio lavoro e del ruolo che il proprio lavoro copre all\u2019interno di una societ\u00e0 pi\u00f9 allargata. Sono anche queste piccole rivoluzioni. Ci sono diversi esempi, dalle manifatture realizzate nei villaggi pi\u00f9 poveri del terzo mondo al coinvolgimento produttivo all\u2019interno di strutture penitenziarie. Ma questa credo sia un\u2019altra storia, poich\u00e9 appunto il contesto in cui viviamo oggi \u00e8 totalmente diverso.<\/p>\n

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Questo lungo lavoro di ricerca vi ha permesso di scovare delle vere e proprie \u201cchicche\u201d perdute negli archivi dei designer radicali: quale il valore di questi \u201cpezzi minori\u201d e cosa aggiungono al racconto di questa stagione?<\/strong>
\nS\u00ec, \u00e8 vero. Negli archivi e nelle cantine polverose abbiamo trovato pezzi interessanti di cui anche i proprietari si erano dimenticati. Non direi pezzi minori ma primi prototipi, diversi disegni stropicciati, schizzi dalla rara bellezza. Belle scoperte insomma.<\/p>\n

Infine, una battuta su Super. \u201cTutto era super in quel momento\u201d, ha dichiarato Corretti. Come siete arrivati alla scelta del titolo-etichetta \u201cSuperDesign\u201d e quali le valenze, le sfumature semantiche \u201csuper\u201d che rintracci nel movimento? <\/strong>
\nIl titolo Super \u00e8 stato deciso a gennaio del 2014 quando questa parola forse era meno popolare di oggi. Come scrivo nel mio saggio, \u201cla parola super consiste di una pluralit\u00e0 di significati e ha livelli differenti di interpretazione: 1) la qualit\u00e0 pi\u00f9 alta; 2) che include pi\u00f9 di una categoria; 3) sopra, superiore, oltre; 4) estremamente grande o estremo; 5) inusuale. Tutte queste definizioni rappresentano differenti traiettorie di questo movimento affascinante e frammentato, dove la consapevolezza del ruolo specifico dell\u2019architetto nella societ\u00e0 era ripensato da un\u2019atmosfera collettiva e un contesto storico. Un incrocio di divertimento serio, visione politica impegnata e creativit\u00e0 senza confini ha originato una spettacolare pluralit\u00e0 di progetti e azioni. E la pluralit\u00e0 \u00e8 certamente qualcosa da celebrare, poich\u00e9 porta in s\u00e9 il seme della libert\u00e0\u201d.<\/p>\n

New York \/\/ fino al 4 gennaio 2018
\nSuperDesign. Italian Radical Design from 1965-1975
\nR & COMPANY
\n82, Franklin Street
\nwww.r-and-company.com<\/p>\n

Maria Cristina Didero, Evan Snyderman, Deyan Sudjic, Catharine Rossi \u2012 SuperDesign. Italian Radical Design 1965-75
\nThe Monacelli Press, New York 2017
\nPagg. 256, $ 50
\nISBN 9781580934954
\nwww.monacellipress.com<\/p>\n

Marica Cristina Didero e Francesca Molteni \u2012 SuperDesign. Italian Radical Design 1965-75
\nMuse Factory of Projects
\n62\u2019, 2017
\nwww.museweb.it<\/p>\n

Pubblicato su Artribune.com<\/a> il 22 dicembre 2017<\/em><\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"

Attraverso una mostra, un libro e un film, Maria Cristina Didero ricostruisce a distanza di cinquant\u2019anni il profilo di una stagione shock del progetto italiano. In cui il legame inedito tra ideologia & pop si era trasformato in uno strumento sovversivo, per radere al suolo e ricominciare a pensare, con molta ironia, la nostra dimensione … <\/p>\n