{"id":3216,"date":"2017-09-24T11:43:04","date_gmt":"2017-09-24T11:43:04","guid":{"rendered":"https:\/\/giuliazappa.net\/la-verita-vi-prego-sul-colore-intervista-a-riccardo-falcinelli\/"},"modified":"2017-09-24T11:43:04","modified_gmt":"2017-09-24T11:43:04","slug":"la-verita-vi-prego-sul-colore-intervista-a-riccardo-falcinelli","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/giuliazappa.net\/en\/la-verita-vi-prego-sul-colore-intervista-a-riccardo-falcinelli\/","title":{"rendered":"La verit\u00e0, vi prego, sul colore. Intervista a Riccardo Falcinelli"},"content":{"rendered":"
\u00c8 in uscita il 26 settembre \u201cCromorama\u201d di Riccardo Falcinelli, il \u201cgrafico-copertina\u201d. Sono cinquemila quelle disegnate dal suo studio in vent\u2019anni di attivit\u00e0 e la sua ultima fatica editoriale ricostruisce tutta la straordinaria complessit\u00e0 con cui pensiamo, o dovremmo pensare, il mondo dei colori.<\/strong><\/p>\n Una patina impalpabile con cui avvolgere il nostro mondo: ecco lo schema mentale a cui facciamo riferimento quando ci confrontiamo con l\u2019universo del colore. Eppure, poco importa che il colore fosse fino all\u2019altro ieri \u2013 tanto vale qualche secolo nel corso dell\u2019evoluzione umana \u2013 un vero e proprio\u00a0corpus<\/em>\u00a0che non poteva prescindere dalla materia da cui era ricavato, fosse questa una pietra, oppure, strano ma vero, i resti polverizzati di una mummia egizia o l\u2019urina essiccata di una mucca nutrita esclusivamente con foglie di mango. In\u00a0Cromorama<\/em>\u00a0racconti innanzitutto quanto la nostra percezione del colore sia stata modificata dall\u2019avvento della societ\u00e0 di massa e delle innovazioni tecniche che l\u2019hanno plasmata. Come mai la rivoluzione industriale ha rappresentato uno spartiacque riguardo alla nostra idea del colore?<\/strong> Una delle scoperte pi\u00f9 interessanti che\u00a0Cromorama<\/em>\u00a0ci svela \u00e8 che la tinta unita \u00e8 un\u2019invenzione della modernit\u00e0. L\u2019avvento del digitale ha in qualche modo enfatizzato questa dimensione\u00a0flat<\/em>, come sembra ricordarci anche l\u2019odierno web design?<\/strong> L\u2019epoca contemporanea che visione ha della tinta unita?<\/strong> Nel libro insisti molto sul fatto che noi desideriamo un colore perch\u00e9 ci ricolleghiamo all\u2019idea che quel colore esprime. La moda, che hai gi\u00e0 chiamato in causa, che ruolo ha in questo meccanismo? Credi alle predizioni tipo il colore dell\u2019anno di\u00a0Pantone?<\/strong> Per esempio?<\/strong> In\u00a0Cromorama<\/em>\u00a0insisti molto sul ruolo dell\u2019industria nel creare degli standard percettivi che si sono oramai imposti come veri e propri archetipi: un esempio su tutti, la matita gialla, che vende di pi\u00f9 rispetto a quelle in altri colori. Eppure, il discorso\u00a0at large<\/em>\u00a0sul design \u2013 a partire dal mobile ma non solo \u2013 continua a porre l\u2019accento sull\u2019artigianalit\u00e0 come possibilit\u00e0 di deviazione dal prodotto seriale. Come convivono secondo te questi due livelli quando parliamo di colore?\u00a0<\/strong> Cos\u00ec come chi vede una copia degli Eames dovrebbe riuscire a riconoscere a ritroso il modello autentico, come \u00e8 possibile rieducare lo sguardo per vedere i colori come poteva fare un bizantino o un uomo del Rinascimento?<\/strong> Tra i molti esempi che citi nel libro c\u2019\u00e8 anche quello di una Madonna lignea conservata nel museo di Liegi che nel corso della sua storia \u00e8 stata ridipinta quattro volte, da nero, a blu lapislazzulo, a oro, a bianco dell\u2019Immacolata, a seconda dei valori che questi colori hanno incarnato nel tempo. Se dovesse essere nuovamente ridipinta oggi, di che colore sarebbe?<\/strong> Il colore, ci insegni, \u00e8 soprattutto un\u2019aspettativa. Eppure, esiste oggi un colore che come nel passato interpreta una virt\u00f9? O che assume un valore metafisico?\u00a0<\/strong> Nella tua carriera hai disegnato o supervisionato cinquemila copertine e ricoperto il ruolo di art director, ad esempio con Minimum Fax o oggi con il giornale\u00a0Pagina99<\/em>. Quali sono le tue strategie per rendere una copertina intrigante ed efficace?<\/strong> C\u2019\u00e8 spazio per la creativit\u00e0?<\/strong> Cosa pensi dell\u2019uso della fotografia stock per la progettazione di copertine?\u00a0<\/strong> Perch\u00e9? Pensi che la nostra epoca stia normalizzando la banalit\u00e0?\u00a0<\/strong> Qual \u00e8 lo stato dell\u2019arte nella progettazione di copertine nel nostro Paese? Quali gli esempi esteri che ti piacciono di pi\u00f9?\u00a0<\/strong> E quando Einaudi, per fare un esempio, usava negli anni \u201970 solo grafica astratta?<\/strong> <\/p>\n
\nMaterie, queste, destinate a incarnare applicazioni e dimensioni simboliche che oggi ci appaiono quanto mai sfuggenti: non soltanto quando ci confrontiamo con le qualit\u00e0 attribuite, per fare un esempio, al porpora nel I secolo, o alla trama di variazioni tonali che regolano la pittura di\u00a0Giorgione<\/strong>,\u00a0Tiziano<\/strong>\u00a0e\u00a0Tintoretto<\/strong>, ma anche quando ripensiamo alle cromie de\u00a0La donna che visse due volte<\/em>\u00a0di\u00a0Hitchcock<\/strong>\u00a0(\u00e8 peraltro un caso ritrovarne i colori in\u00a0The Handmaid\u2019s Tale<\/em>?)
\nGrafico e art director, docente, prolifico scrittore di saggi dedicati alla cultura visiva,\u00a0Riccardo<\/strong>Falcinelli<\/strong>\u00a0gioca con il colore da vent\u2019anni, ad esempio con le oltre cinquemila copertine che ha progettato per le pi\u00f9 grandi case editrici del nostro Paese. Con\u00a0Cromorama<\/em>\u00a0ci offre innanzitutto una ricostruzione colta e articolata della complessit\u00e0 culturale, oltre che prettamente visiva, annidata dietro il caleidoscopico registro di cromie che caratterizza la nostra storia. Per approfondirne alcuni aspetti, e per provare a tratteggiare lo stato dell\u2019arte della grafica editoriale in Italia e non solo, abbiamo incontrato l\u2019autore.<\/p>\n
\nNell\u2019arco di cento anni la rivoluzione industriale ci ha messo a disposizione qualsiasi tipo di oggetto in qualsiasi colore. Prima dei coloranti industriali, ci\u00f2 era impensabile: ad esempio il colore era innanzitutto un materiale o povero o prezioso, per cui il nero veniva ricavato dal carbone e il blu dal lapislazzulo, per restare sugli esempi pi\u00f9 famosi. Le ultime generazioni sono cresciute con i pastelli e i pennarelli, educate al fatto che il colore \u00e8 staccato dalle cose: qualcosa che mettiamo \u201csopra\u201d una superficie. Questa \u00e8 una constatazione banale, ma a me affascinava il fatto che fosse cos\u00ec banale. L\u2019industria ha dunque operato una rivoluzione epistemologica nel rapporto che abbiamo con ci\u00f2 che guardiamo: il tema del libro \u00e8 sicuramente il colore, che \u00e8 per\u00f2 anche un pretesto per svelare come, nel nostro rapporto con la dimensione estetica, le cose pi\u00f9 banali sono in realt\u00e0 quelle che si sono costruite in maniera pi\u00f9 artificiosa.<\/p>\n
\nLa tinta unica \u00e8 un modo di pensare. Per la tecnica, prima quella meccanica dell\u2019800, poi oggi quella digitale, fare la tinta unita \u00e8 pi\u00f9 facile. Se pensiamo all\u2019informatica, costa meno energie fare il file di un\u2019immagine con un solo colore rispetto a una sfumatura. Ci\u00f2 era impensabile in passato, quando l\u2019industria tintoria doveva anche solo confrontarsi con tessuti e intonaci che sbiadivano con grande facilit\u00e0, mentre nei mattoncini Lego di quarant\u2019anni fa il colore \u00e8 rimasto intatto. Per Michelangelo che dipinge la Sistina fare una tinta unita era difficilissimo, e magari non faceva neanche parte dei suoi desideri estetici\u2026 forse a Paolo Uccello sarebbero piaciute le tinte unite? Naturalmente non tutti gli illustratori assecondano questa scelta, ne esistono alcuni che io amo particolarmente \u2012 come Shout (alias Alessandro Gottardo\u00a0N.d.R.<\/em>), Emiliano Ponzi, Simone Rea \u2013 che pur lavorando moltissimo in digitale hanno trovato degli escamotage per inserire elementi caldi o pittorici nelle loro opere, scomponendo cos\u00ec l\u2019effetto sintetico della tinta unita.<\/p>\n
\nPensiamo ad esempio a una cosa di cui nel libro non parlo, ossia tutti i filtri di Instagram che sporcano le immagini o che simulano l\u2019effetto di un negativo venuto male. Come spesso accade, la tecnologia ci permette di sviluppare qualche cosa facilmente, ma poi iniziamo a desiderare qualcosa che gli vada contro, e questo spesso si trasforma in una moda. Quando ho iniziato a fare il grafico vent\u2019anni fa, pi\u00f9 i colori erano compatti, sintetici, elettronici, pi\u00f9 piacevano. L\u2019esplosione di Photoshop all\u2019inizio degli Anni \u201990 amplifica qualcosa che era iniziata con l\u2019aerografo all\u2019inizio degli Anni \u201980, la sfumatura perfetta, la cromatura brillante. Passano poi pochissimi anni ed esplode un altro tipo di gusto, il rovinato e il destrutturato, e diventa una star uno come David Carson, che \u00e8 stato il maestro della grafica sporca. Pensiamo all\u2019entusiasmo incredibile che c\u2019\u00e8 stato negli ultimi anni per il ritorno alla stampa in piombo, con i caratteri mobili in legno: tutte reazioni, secondo me, all\u2019imperare della tinta unita.<\/p>\n
\nQuello del Pantone \u00e8 un gioco che non credo abbia nessun tipo di influenza: Pantone usa il colore dell\u2019anno come forma di autopromozione aziendale. Il vero potere della moda arriva quando alcuni designer o brand riescono a imporre una singola tinta o un insieme di tinte che si trasformano in un immaginario. Dietro c\u2019\u00e8 sicuramente uno studio di cui parlo anche in\u00a0Cromorama<\/em>: ci sono persone che studiano cosa \u00e8 andato di moda, quello che \u00e8 passato, quello che potrebbe piacere, sebbene poi ogni anno vengano messi in commercio un\u2019infinit\u00e0 di colori nuovi. Quello che poi vince, a mio parere, \u00e8 ci\u00f2 che darwinianamente, per ragioni anche imperscrutabili, finisce per affermarsi e viene poi molto imitato. Pi\u00f9 che di singole tinte mi viene da dire che quello che finisce per andare di moda \u00e8 un sistema di tinte.<\/p>\n
\nAd esempio a Roma hanno aperto un negozio della catena francese Ladur\u00e9e, gli \u201cinventori\u201d del macaron, che ha tirato fuori come colore brand un verde salvia pastello. Un colore del genere sarebbe stato impossibile venti anni fa perch\u00e9 \u00e8 vecchio, polveroso, antico. Oggi \u00e8 diventato di successo poich\u00e9, a causa dell\u2019esplosione della moda vintage, siamo ossessionati dal recupero di quello che avevamo l\u2019altro ieri. Qualcosa di impensabile negli Anni \u201980 e \u201990, quando tutto doveva essere il nuovo per forza, il futuro, il tecnologico. Al contrario, se oggi ci guardiamo intorno vediamo che la scelta di queste tinte pastello sta diventando sempre pi\u00f9 diffusa ad esempio anche nel web, dove stiamo recuperando uno spiccato gusto Anni \u201950.<\/p>\n
\nLa ricerca sulla deviazione dal seriale esiste ma rimane in ambito di \u00e9lite, destinata a quei pochi che vantano una fortissima vocazione artistica. Non dico che non sia interessante, ma non \u00e8 quello che cambia le carte in tavola. Piuttosto, l\u2019industria ha la possibilit\u00e0 di prendere delle forme inventate trenta, quarant\u2019anni fa e di trasformarle in un altro contesto, contribuendo a plasmare il gusto del grande pubblico. Questo meccanismo, a tratti perverso, \u00e8 senz\u2019altro affascinante: dispiace per\u00f2 che il pubblico si scordi chi ha realmente inventato quelle cose, come ad esempio quando ci troviamo di fronte un\u2019ennesima derivazione di una sedia degli Eames, ora trasformata in un\u2019altra cosa. Del resto il nostro sguardo si \u00e8 abituato alla commistione tra generi e forme diverse, che tendiamo a mettere sullo stesso piano.<\/p>\n
\nIn generale \u00e8 impossibile, si pu\u00f2 per\u00f2 fare uno sforzo di razionalizzazione, ma solo a scuola. Non credo che esista un luogo altro deputato a questa analisi. Il libro si chiude dicendo che noi insegniamo ai bambini che puoi fare il verde mischiando il giallo con il blu, ma questa non \u00e8 una verit\u00e0. Diciamo allora che \u00e8 un invito: l\u2019unica cosa che possiamo fare per educare al design e all\u2019arte \u00e8 la scuola.<\/p>\n
\nSe ti potessi rispondere con una battuta direi che la farebbero di plastica, al Salone del Mobile magari con una plastica innovativa e traslucida, mentre in Vaticano con una plastica con cui producono le Madonnine di Lourdes. Probabilmente poi oggi non avrebbe un unico colore, perch\u00e9 in fondo l\u2019immagine della Madonna \u00e8 sempre stata un gadget anche quando i gadget non esistevano \u2013 i primi santini sono della met\u00e0 del \u2018500 \u2013 e oggi tu puoi avere i santini in pi\u00f9 colori, a scelta del devoto.<\/p>\n
\nNon credo un singolo colore, ma delle gamme sicuramente. Ad esempio a tutt\u2019oggi continuiamo ad attribuire un valore di eleganza a tutto ci\u00f2 che \u00e8 scuro. Pi\u00f9 gli sport sono lussuosi, penso allo sci o alla barca a vela, e pi\u00f9 diventi colorato, ma non puoi andare con i pantaloni fucsia a lavorare in banca. Non sta nelle regole, a prescindere da quanto possiamo essere rivoluzionari. Se lo fai, sei un eccentrico. Oggi la nostra societ\u00e0 ammette che tu ti possa magari vestire di fucsia, ma in questo modo rientri subito nella categoria degli eccentrici.<\/p>\n
\nInnanzitutto ci si prova, con l\u2019esperienza. Non esiste una formula a priori. In generale la cosa fondamentale \u00e8 immaginarsi non il libro, ma chi lo compra. Lo stesso classico di Dostoevskij, Tolstoj, Flaubert ha avute migliaia di copertine. Come viene stampato a Mosca o come te lo progetta Penguin cambia naturalmente molto, poich\u00e9 la copertina viene adattata all\u2019idea che le persone hanno di quel tipo di libro in quello specifico contesto. Lo stesso vale per i generi: se devi comunicare un saggio autorevole devi rientrare nel registro che quel tipo di lettore recepisce come tale. Io non posso fare una copertina troppo pop per un saggio politico di Laterza: difficilmente si esce dalla palette del rosso, bianco e nero, e magari ci si affida a un lettering senza immagini perch\u00e9 \u00e8 percepito come pi\u00f9 giornalistico. Se sto facendo un thriller per Einaudi Stile Libero, il mio modello \u00e8 il cinema: sto proponendo ai lettori qualcosa che si offre come parallelo a Netflix o alla sala cinematografica.<\/p>\n
\nCodici e aspettative sono senz\u2019altro consolidate, ma \u00e8 possibile giocare con aspettative e stereotipi con un guizzo personale. Tutti gli editori mettono un ritratto quando \u00e8 in ballo la narrativa femminile? Troviamo il modo di fare questa cosa in maniera un po\u2019 diversa. Questo discorso mi sta molto a cuore perch\u00e9 per me \u00e8 sbagliato puntare all\u2019originalit\u00e0 a tutti costi \u2013 di fatto un falso valore \u2012, ma credo invece sia possibile trovare il modo di raccontare la tua storia all\u2019interno di un codice. Lo trovo infinitamente pi\u00f9 interessante e anche pi\u00f9 sensato. I libri sono per i lettori, quindi andare a fare una copertina di grafica sperimentale per una persona che vuole un libro da ombrellone \u00e8 un dispetto.<\/p>\n
\nOggi si produce un numero di libri enorme, quindi le immagini stock nascono dal fatto che i tempi di lavorazione sono strettissimi. Met\u00e0 delle copertine che progettiamo in studio non potremmo farle altrimenti perch\u00e9 non ci sarebbe neanche il tempo da parte degli iconografi di poter attingerle da fonti pi\u00f9 complesse. In realt\u00e0, se ti devo dare una risposta erudita, a me la cosa diverte parecchio: io penso che tra un secolo, quando la gente studier\u00e0 quali erano gli stereotipi iconografici del 2017, vedr\u00e0 che in giro c\u2019erano un sacco di cose false, perch\u00e9 lo spirito delle immagini stock \u00e8 quello di essere un condensato di luoghi comuni che per\u00f2 sono rappresentativi di idee e attitudini. Innanzitutto delle banalit\u00e0 del mondo contemporaneo: le immagini, anche quelle artistiche, oggi non hanno pi\u00f9 a che vedere soltanto con qualche cosa di speciale.<\/p>\n
\nPerch\u00e9 la banalit\u00e0 \u00e8 veloce. \u00c8 come la frase di Twitter che diventa facilmente stupidaggine, razzismo, generalizzazione. In un\u2019epoca in cui tutti vanno di corsa, il banale \u00e8 quello che riconosci a colpo d\u2019occhio. Ci\u00f2 non significa che non ci siano gli spazi per fare altre cose. Quando le persone rimpiangono il passato e dicono che era tutto pi\u00f9 complesso, io dico s\u00ec, ma era tutto anche molto pi\u00f9 aristocratico. Oggi la sfida \u00e8 riuscire a fare cose complesse all\u2019interno di questo sistema veloce.<\/p>\n
\nLe copertine cambiano da Paese a Paese perch\u00e9, come abbiamo detto, a essere diverso \u00e8 l\u2019immaginario collettivo delle persone. Per farti un esempio, gli inglesi sono dei lettori fortissimi e questo ti permette di mettere qualsiasi cosa sulla copertina di un romanzo popolare. Se in Italia facciamo un romanzo popolare, considerando che i lettori sono meno e sono deboli, dobbiamo usare immagini didascaliche. Se in Italia pubblichiamo una storia della barca, dobbiamo mettere in copertina una barca. Per gli inglesi, al contrario, la copertina pu\u00f2 mostrare anche un albero.<\/p>\n
\nInnanzitutto Einaudi \u00e8 un caso particolare, poich\u00e9 all\u2019epoca non utilizzavano volutamente immagini didascaliche. C\u2019\u00e8 da dire che sono successe due cose: il pubblico \u00e8 cambiato moltissimo e quella generazione di lettori non esiste pi\u00f9. Soprattutto, il modello Einaudi \u00e8 andato in crisi: loro per primi negli Anni \u201980 avevano difficolt\u00e0 con le vendite poich\u00e9 non si vendeva pi\u00f9 qualunque cosa. Oggi i lettori sono pi\u00f9 generalisti rispetto agli Anni \u201970, quando il profilo del lettore di best seller esisteva meno: sicuramente un tempo c\u2019era pi\u00f9 vivacit\u00e0 e si leggeva di pi\u00f9. Ma c\u2019erano anche meno cose da fare.<\/p>\n