{"id":3234,"date":"2017-03-30T15:31:34","date_gmt":"2017-03-30T15:31:34","guid":{"rendered":"https:\/\/giuliazappa.net\/il-mediterraneo-e-il-design-intervista-a-giulio-vinaccia\/"},"modified":"2017-03-30T15:31:34","modified_gmt":"2017-03-30T15:31:34","slug":"il-mediterraneo-e-il-design-intervista-a-giulio-vinaccia","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/giuliazappa.net\/en\/il-mediterraneo-e-il-design-intervista-a-giulio-vinaccia\/","title":{"rendered":"Il Mediterraneo e il design. Intervista a Giulio Vinaccia"},"content":{"rendered":"

Un progetto europeo aiuta designer e artigiani del sud del Mediterraneo a rinnovare la propria produzione puntando sulla resilienza. Ne abbiamo parlato con Giulio Vinaccia, art director di \u201cCreative Mediterranean\u201d.<\/strong><\/p>\n

Eppur si muove. Quando l\u2019Europa afferma di impegnarsi per migliorare la vita dei migranti \u201ca casa loro\u201d, non fa sfoggio di pura retorica. N\u00e9 si limita ad applicare ricette prevedibili e forse consumate, se tra le strategie messe in campo ha anche deciso di investire \u2013 e pu\u00f2 sembrare un azzardo, ma \u00e8 un azzardo ben calcolato \u2013 in un settore all\u2019apparenza marginale quanto sfuggente e ineffabile: l\u2019economia creativa.
\nCreative Mediterranean<\/em>\u00a0\u00e8 infatti il nome del progetto, implementato da UNIDO \u2013 United Nations Industrial Development Organization e finanziato dall\u2019Unione Europea insieme all\u2019Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, che dal 2015 promuove la crescita di tredici cluster \u2013 i buoni vecchi cari distretti tanto cari alla storia dell\u2019industria italiana \u2013 di sette Paesi del bacino meridionale del\u00a0Mare nostrum<\/em>. Dal Marocco al Libano, passando per Algeria, Tunisia, Egitto, Giordania e Palestina, l\u2019idea \u00e8 quella di sostenere l\u2019economia creativa dei paesi dell\u2019area MENA \u2013 Middle East North Africa \u2013, cercando di trasformare i consumati stereotipi dell\u2019artigianato artistico locale in nuovi prodotti con appeal da esportazione. Il payoff del programma,\u00a0Resilience Through Creativity<\/em>, la dice lunga su approccio e metodologia: se il design \u00e8 un mezzo da applicare al problem solving, la creativit\u00e0 si trasforma in una leva per superare le criticit\u00e0 di un contesto svantaggiato. Mentre le collezioni implementate dai distretti coinvolti \u2013 tra gli altri, il Nablus Furniture Cluster in Palestina, il distretto del rame a Costantina in Algeria, quello della moda ad Amman e delle ceramiche di Nabeul in Tunisia \u2013 gi\u00e0 dimostrano come il potenziale inscritto nella cultura locale possa essere rinnovato con soluzioni sorprendenti.<\/p>\n

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L\u2019INTERVISTA<\/strong><\/p>\n

Ma come rendere pi\u00f9 competitivi i progetti di design e artigianato artistico del Mediterraneo meridionale? Come rilanciare professionalit\u00e0 e occupazione? Ne abbiamo parlato con\u00a0Giulio<\/strong>Vinaccia<\/strong>, designer vincitore insieme a UNIDO dell\u2019ultimo Compasso d\u2019Oro per il Design per il Sociale con il progetto\u00a0Tsara<\/em>, qui in veste di art director del progetto.<\/p>\n

Ci spieghi cosa c\u2019entra il design con la resilienza?
\n<\/strong>Credo fermamente che il design sia uno strumento straordinario di risoluzione di problemi. Pi\u00f9 che un mestiere, lo considero una attitudine con cui confrontarsi con il mondo, un\u2019attitudine di per s\u00e9 resiliente. Il non abbattersi di fronte ai problemi di una produzione, il riuscire a mantenere l\u2019idea del progetto senza cambiamenti radicali di fronte a una committenza aggressiva\u2026 La scuola del design \u00e8 una scuola di resilienza.<\/p>\n

Come insegni a trovare nella tradizione una risorsa e un senso di identit\u00e0 da rinnovare?
\n<\/strong>L\u2019identit\u00e0 e l\u2019appartenenza non si possono insegnare, bens\u00ec possono essere riscoperte attraverso un processo pratico, dove dalla teoria ideologica (ad esempio:\u00a0dobbiamo lavorare con elementi della nostra cultura nazionale!<\/em>) si passa a un\u2019azione che, attraverso esercizi visivi e pratica applicata al prodotto, fa riscoprire \u2013 insieme \u2013 il valore e le possibilit\u00e0 contemporanee della tradizione. La tradizione, naturalmente, va intesa a tutto campo, non considerando solamente quella ufficiale. In Brasile abbiamo lavorato ispirandoci sia all\u2019arte del barocco portoghese sia ai graffiti delle favelas.\u00a0<\/em><\/p>\n

Per un progetto come\u00a0Creative Mediterranean<\/em>, qual \u00e8 il potenziale economico in gioco? E le difficolt\u00e0 pi\u00f9 grandi?
\n<\/strong>I dati delle Creative Industries nel settore del MENA \u2013 Middle East North Africa sono di per s\u00e9 impressionanti, dai tredici cluster \u00e8 previsto un turnover economico annuale di 960 milioni di Euro pari allo 0,2% del PIL, di cui 400 milioni in export, corrispondenti allo 0,3% totale. 55 sono le istituzioni coinvolte tra universit\u00e0, istituzioni di cultura, associazioni professionali ed enti governativi; 19.300 le piccole imprese interessate, di cui 12.500 micro imprese pari al 64% del totale nei sette Paesi, 6800 le PMI pari al 35% e 180 realt\u00e0 industriali o semi-industriali; 280mila le persone impiegate di cui il 56% (155mila) del cosiddetto \u201csettore informale\u201d. Le difficolt\u00e0 pi\u00f9 grandi con cui ci confrontiamo sono per lo pi\u00f9 di tipo strutturale (mancanza di infrastrutture, strade, energia, servizi e accesso al credito) e macro politiche, che colpiscono indirettamente tutte le imprese della regione.<\/p>\n

Creative Mediterranean<\/em><\/strong>\u00a0\u00e8 un progetto inevitabilmente \u201ca sud\u201d. Il sociologo Franco Cassano diceva che il sud non \u00e8 un non-nord o una forma arretrata di nord, ma una identit\u00e0 e una dimensione tutta sua.
\n<\/strong>Il progetto a sud (come del resto anche quello fatto per il nord) ha bisogno di un suo passo e un\u2019attitudine precisa. Venendo da un\u2019esperienza sudamericana [Giulio Vinaccia ha vissuto fino ai 27 anni in Venezuela,\u00a0N.d.R.<\/em>], non ho trovato in questo caso molte differenze a lavorare, ad esempio, con una PMI egiziana. Stessi e ugualmente importanti tempi di attesa, di \u201cassimilazione\u201d del progetto, stessa ritualit\u00e0 nel dare e ricevere ordini e consigli, stessa infinitesima distanza fra il privato e il pubblico, stesso assoluto coinvolgimento con il progetto. Dico ridendo che le mie prime parole in arabo sono state\u00a0ghadaan\u00a0<\/em>(domani) e\u00a0la mushkilatan<\/em>\u00a0(non c\u2019\u00e8 problema) e mi hanno accompagnato per diversi mesi fino a capire la velocit\u00e0 e il ritmo locale.<\/p>\n

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Credi che, cos\u00ec come accade in altre industrie creative quale ad esempio il cinema, esista realmente una mancanza di rappresentazione della diversit\u00e0? Il design \u00e8 figlio di una storia occidentale, che come tale converte le istanze della molteplicit\u00e0 verso i codici della propria cultura?
\n<\/strong>Certamente viviamo in un mondo dominato dalla cultura occidentale, dove quello che viene considerato design del \u201cmoderno\u201d \u00e8 tutto costruito sull\u2019ideologia dell\u2019international style\u00a0<\/em>e quello che integra elementi culturali locali era etichettato come\u00a0ethnic design<\/em>\u00a0(del resto, come i commercianti portoghesi in Africa: tutti gli oggetti che le trib\u00f9 locali si rifiutavano di vendere venivano chiamati\u00a0feti\u00e7o<\/em>, attribuendo loro un valore magico). Negli ultimi anni tutto ci\u00f2 sta cambiando: in un mondo globalizzato la ricerca della propria identit\u00e0 \u00e8 esplosa in tutti i campi e gli esempi pi\u00f9 creativi sono frutto dell\u2019ibridazione di tradizioni e culture. L\u2019Italia del design \u00e8 arrivata da pochissimo a questo traguardo, stretta fra il suo provincialismo e la tradizione dei \u201cMaestri\u201d del design degli Anni Cinquanta e Sessanta. Il processo di cambiamento \u00e8 dunque in corso e arriveremo a un universo di prodotti espressione di ogni cultura, ma fruibili da tutti? Spero di s\u00ec.<\/p>\n

Sei stato forse il primo, almeno certamente in Italia, a lavorare con continuit\u00e0 a progetti di design per lo sviluppo. Come ne \u00e8 stata influenzata la tua professionalit\u00e0? Quali caratteristiche devono maturare i designer per lavorare a progetti di questo tipo?
\n<\/strong>Nella mia \u201ccarriera\u201d di designer per lo sviluppo ho realmente fatto di tutto: dal presentarmi come speaker in un senato nazionale al presenziare accordi multinazionali fino a distribuire polli in campagne politiche regionali. Ogni volta che seleziono un gruppo di giovani designer per realizzare questo tipo di lavoro, gli intimo di \u201cscordarsi\u201d del progetto e di concentrarsi sui rapporti tra societ\u00e0, designer, produttore, ambiente. Per poterlo fare, servono competenze molto pi\u00f9 ampie di quelle insegnate nelle scuole di design. La base di tutto rimane la curiosit\u00e0 verso ci\u00f2 che \u00e8 sconosciuto, se non ce l\u2019hai non potrai mai fare questo mestiere.<\/p>\n

Raccontaci un aneddoto dai tuoi progetti in giro per il mondo.
\n<\/strong>Durante il progetto\u00a0NANDEVA<\/em>, realizzato all\u2019inizio del 2000 nelle zone Guaran\u00ec della frontiera fra Brasile, Paraguay e Argentina, abbiamo riunito in un workshop artigiani e designer per poter realizzare un prodotto transnazionale, che rompesse le barriere delle frontiere e restituisse alla regione l\u2019identit\u00e0 del Guaran\u00ec originale, come nell\u2019utopia della nazione gesuitica del XVI secolo. Dopo aver avuto l\u2019ok di sponsor e governi, avevamo bisogno di un sistema di identificazione che permettesse ai doganieri di riconoscere gli artigiani dai contrabbandieri: le autorit\u00e0 erano disposte a chiudere un occhio, ma noi volevamo una presa di posizione ufficiale, dato che nel delirio del Mercosul (il mercato comune del Sud America) alle multinazionali era permesso far passare le merci senza tasse, mentre gli artigiani non potevano attraversare il ponte fra Paraguay e Brasile con le loro merci.<\/p>\n

Come and\u00f2 a finire?
\n<\/strong>Ci accordammo finalmente sull\u2019uso di una maglietta speciale con il simbolo del progetto, come quelle in uso nel Carnevale in Brasile (gli abad\u00e0). Doveva essere realizzata in sole cento unit\u00e0, ma l\u2019occasione per il produttore di magliette fu troppo ghiotta per non essere sfruttata. Il giorno dopo, data di inizio del workshop, migliaia di persone attraversarono il ponte, tutte con la nostra maglietta! Realizzando cos\u00ec, proprio attraverso un progetto di design, quel mercato comune che i governi della regione non erano riusciti a creare.<\/p>\n

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Pubblicato su Artribune.com<\/a> il 30 marzo 2017<\/em><\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"

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