{"id":3267,"date":"2016-04-08T12:37:34","date_gmt":"2016-04-08T12:37:34","guid":{"rendered":"https:\/\/giuliazappa.net\/design-e-sperimentazione-a-miart\/"},"modified":"2016-04-08T12:37:34","modified_gmt":"2016-04-08T12:37:34","slug":"design-e-sperimentazione-a-miart","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/giuliazappa.net\/en\/design-e-sperimentazione-a-miart\/","title":{"rendered":"Design e sperimentazione a Miart. Intervista a Domitilla Dardi"},"content":{"rendered":"

Che ci fa un oggetto di design da collezione in una fiera d\u2019arte? E quale ruolo assolve all\u2019interno del pi\u00f9 vasto sistema design? Una conversazione con Domitilla Dardi, curatrice per il Design del MAXXI Architettura, in questi giorni in trasferta a Milano per presentare la sezione Object, che ha curato per l\u2019ultima edizione di Miart.<\/strong><\/p>\n

Design e cultura dell\u2019oggetto sono sempre pi\u00f9 protagonisti nel panorama della creativit\u00e0 contemporanea. Lo dimostra anche Object, la nuova sezione di Miart, curata da Domitilla Dardi, che qui racconta la nascita e lo sviluppo di un progetto destinato a far parlare di s\u00e9.<\/p>\n

Come \u00e8 nata la tua collaborazione con Miart e con essa la sezione Object?<\/strong>
\nL\u2019idea di inaugurare la presenza delle gallerie di design a Miart comincia con Vincenzo De Bellis. Gi\u00e0 all\u2019inizio della sua avventura, Vincenzo mi aveva contattato per coinvolgermi nel progetto e io avevo manifestato un po\u2019 di scetticismo poich\u00e9 non ho una formazione specifica nel mondo del design di collezionismo. La prima occasione che ho avuto di rapportarmi in maniera sistematica con questa realt\u00e0 si \u00e8 verificata due anni fa, con la curatela della collezione Delta di Formafantasma per Giustini\/Stagetti Galleria O. Roma, esposta nella sua interezza a Miart. Non ho esperienza di fiere, quindi ho risposto a Vincenzo che avrebbe potuto trovare persone pi\u00f9 accreditate di me. Lui invece ha insistito e alla fine mi ha convinto, dicendomi di essere stato in grado di dare un taglio riconosciuto a Miart grazie al suo sguardo da outsider. Credo che abbia avuto ragione lui, perch\u00e9 mi sono accorta che il famoso occhio vergine di cui parla Bruno Munari mi ha senz\u2019altro aiutato a dare un segno di riconoscimento, un\u2019identit\u00e0, alla presenza del design in questa fiera.<\/p>\n

Quale \u00e8 stato il presupposto curatoriale che hai deciso di seguire?<\/strong>
\nMi sono domandata quale pu\u00f2 essere il senso di una sezione di design all\u2019interno di una fiera d\u2019arte che si svolge a Milano in questo momento preciso dell\u2019anno, prima del Salone del Mobile, ma soprattutto a un mese e mezzo da Basilea. Che cosa trova il collezionista che va a Milano? Ho pensato che forse sarebbe stato interessante recuperare quella dimensione di sperimentazione di cui si comincia ad avvertire la mancanza sul versante del Fuori Salone, da qualche anno sempre pi\u00f9 legato al momento della performance e dell\u2019evento che alla ricerca vera e propria.<\/p>\n

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\nPerch\u00e9, dal tuo punto di vista, l\u2019industria ha in parte perso questa capacit\u00e0?<\/strong>
\nL\u2019industria deve minimizzare il rischio, questa \u00e8 una tendenza avviata da almeno quindici anni, e lo vediamo con il fiorire delle riedizioni. Oggi, per\u00f2, quel coraggio quasi folle di investire su una macchina-scatolina come poteva essere una Cinquecento o su una poltrona riempita di pallini di polistirolo come la Sacco non c\u2019\u00e8 pi\u00f9. O meglio, se c\u2019\u00e8, deve essere comunque tutelata dalla firma, da qualcuno gi\u00e0 accreditato dalla critica e della stampa. Il gallerista, al contrario, deve rendicontare solo a se stesso, ha tempi di gestazione pi\u00f9 lunghi e porta avanti un\u2019incredibile ricerca sulla prototipazione artigianale, che \u00e8 poi il motivo per cui i costi dei suoi pezzi sono decisamente superiori. Come al solito, quando conosci tutta la filiera, capisci che il costo non \u00e8 un capriccio e non rappresenta il desiderio di interloquire solo con una nicchia che si pu\u00f2 permettere quella spesa: non si tratta di bollino di lusso, ma \u00e8 davvero il riconoscimento di un lavoro estremamente complesso e coordinato.<\/p>\n

C\u2019\u00e8 un mercato del collezionismo anche e soprattutto locale, italiano, che \u00e8 pronto a ripagare questo sforzo imprenditoriale?<\/strong>
\nSenz\u2019altro i galleristi tengono conto del loro pubblico e portano avanti le loro scelte, ponderando molto bene la ragione e il sentimento, l\u2019istinto e la razionalit\u00e0. Alcuni dei progetti che raccontiamo sulle riviste hanno delle storie che li rendono meravigliosi, ma un gallerista sa che alla fine l\u2019oggetto deve vivere di per s\u00e9, deve essere autonomo anche rispetto alla sua storia, deve possedere una sua forza empatica e autonoma, non pu\u00f2 essere iconicamente fragile. Nella dimensione industriale l\u2019aspetto iconico c\u2019\u00e8, ma c\u2019\u00e8 anche una necessit\u00e0 di maggiore versatilit\u00e0 dell\u2019oggetto, che deve entrare in tanti contesti e realt\u00e0. Dal canto suo, il collezionista sa che pu\u00f2 contribuire a un circolo virtuoso, che come un mecenate ha la possibilit\u00e0 di alimentare questo tipo di ricerca e lavoro.<\/p>\n

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Domitilla Dardi<\/figcaption><\/figure>\n

Cosa vedremo in fiera?<\/strong>
\nTutti i pezzi che saranno presentati a Miart hanno una funzionalit\u00e0, una loro ragione di essere. Non dobbiamo pensare che all\u2019interno di una fiera d\u2019arte il design si trasformi necessariamente in una stranezza. Credo che questa sia una peculiarit\u00e0 delle gallerie che continuano a fare un lavoro serio nel tempo: produrre un design che deve uscire dalla galleria, entrare in una casa e assolvere uno scopo. Alla fine, nessuno vuole acquistare per la propria abitazione un pezzo da museo sul quale non pu\u00f2 sedersi.<\/p>\n

Quali sono le presenze che caratterizzano Object?<\/strong>
\nC\u2019\u00e8 una grande partecipazione italiana dal riverbero internazionale, insieme a nomi internazionali noti qui in Italia. Molti galleristi, inoltre, hanno deciso di presentare un ampio ventaglio di autori: il maestro di domani, dunque, pu\u00f2 essere sia il giovane emergente sia un autore a met\u00e0 carriera che si sta avvicinando o riavvicinando a questo genere di design o anche un nome del passato. Per fare un esempio, Luisa delle Piane, grande signora del design milanese, ha colto perfettamente questa dimensione mettendo insieme Giorgia Zanellato, giovane designer italiana conosciuta all\u2019estero, e Andrea Anastasio, che ripresenta alcuni pezzi proposti in galleria all\u2019inizio degli Anni Novanta. Al loro lavoro \u00e8 affiancato un bellissimo pezzo di BBPR, che rappresenta Milano, la storia, qualcosa di eterno. Poi c\u2019\u00e8 qualcuno come Nina Yashar che mi ha davvero stupito per l\u2019entusiasmo e la freschezza con cui si \u00e8 affidata a un giovanissimo, Federico Peri, non particolarmente accreditato dalla stampa, sottolineando ancora una volta la sua grandissima capacit\u00e0 di talent scout. Abbiamo gi\u00e0 citato Formafontasma con Giustini\/Stagetti Galleria O. Roma. Poi ci sono alcune realt\u00e0 molto interessanti, come la spagnola Machado-Mu\u00f1oz, Nero, Dimore Studio e Luciano Colantonio, che hanno sviluppato un vero e proprio progetto di interior, proponendo una dimensione ambientale. Due presenze a cui tenevo tantissimo, Subalterno1 e Massimo Lunardon rappresentano i primi le istanze dell\u2019autoproduzione, e il secondo la figura unica di artigiano che \u00e8 al tempo stesso un gallerista editore. Ancora, ci sono le gallerie abituate a lavorare con il contemporaneo come Secondome e Camp Design Gallery, che sta facendo un bellissimo lavoro con Analogia Project. Non manca un\u2019incursione nel settore del gioiello, rappresentato da Antonella Villanova. Infine, Patrizia Tenti creer\u00e0 un doppio dialogo tra Nanda Vigo e Carlo Trucchi, che \u00e8 una sua scoperta.<\/p>\n

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In questo scenario che valore assume il Design after design della XXI Esposizione Internazionale?<\/strong>
\nSicuramente vuole tenere conto di realt\u00e0 che vanno al di l\u00e0 del modello milanese, il quale rappresenta un patrimonio giustamente da valorizzare sebbene al suo interno sia necessario cercare delle conferme e delle deroghe alla regola. Per questo, Design after design \u00e8 un modo per guardare oltre, per interrogarsi. Il modello milanese \u00e8 stato vincente per anni, ma in tanti iniziano a domandarsi se dobbiamo continuare a sostenerlo o dobbiamo prevederne una sostituzione. Io credo che da un lato sia sbagliato perdere, per ansia di rinnovamento, ci\u00f2 per cui si \u00e8 stati vincenti e su cui si \u00e8 formata la propria forza caratteriale: quello che ha fatto grande il design italiano legato al suo spazio geografico, la condivisione dei saperi, secondo me non deve essere troppo trasformato. D\u2019altra parte, in questa epoca \u00e8 necessario aprirsi a convivenze senza vederle come una tifoseria calcistica: se tifi una squadra, in un contesto diverso puoi tifarne anche un\u2019altra.
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\n<\/em>Pubblicato su Artribune.com<\/a> l’8 aprile 2016<\/em><\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"

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