{"id":3385,"date":"2011-11-04T10:56:14","date_gmt":"2011-11-04T10:56:14","guid":{"rendered":"https:\/\/giuliazappa.net\/ossessione-infografica\/"},"modified":"2011-11-04T10:56:14","modified_gmt":"2011-11-04T10:56:14","slug":"ossessione-infografica","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/giuliazappa.net\/en\/ossessione-infografica\/","title":{"rendered":"Ossessione Infografica"},"content":{"rendered":"\n

Un nuovo sguardo sul mondo, che ha in nuce tutti gli elementi per piacere oggi e sopravvivere, forse, domani. Dati, bellezza alle immagini, storytelling e subdola empatia con il lettore. Vita, miracoli e pericolo di morte dell\u2019infografica.<\/strong><\/p>\n\n\n\n

Assediati da una comunicazione dilagante e capillare, occupati da social network che insidiano la nostra concentrazione, stretti ai fianchi da messaggi virali eletti al rango di nuovi persuasori occulti: viviamo, con consapevolezza ma senza istruzioni per l\u2019uso, in un\u2019epoca di information overload<\/em>. A curare questa afflizione contemporanea da contenuti, di cui troppo spesso subiamo il fascino senza domandarci quali conseguenze potremmo pagare in futuro, ci pensa l\u2019infographics<\/em><\/strong>. Antidoto tra i pi\u00f9 riusciti che la disciplina del problem-solving \u2013 alias il design \u2013 sia riuscita a elaborare contro il crescente rumore della semiosfera, l\u2019infografica \u00e8 l\u2019ultima arrivata nel fertile campo del data visualization<\/em>, ma anche la prima a conquistarsi la venerazione dilagante di un pubblico trasversale, alla ricerca di un filtro all\u2019eccesso informativo e di una sintesi in grado di guidare l\u2019interpretazione del mondo che ci circonda. Sia che l\u2019argomento possa riguardare una proiezione su come vivremo nel 2050, le ragioni della crisi finanziaria, l\u2019evoluzione dei matrimoni interrazziali o i meccanismi che permettono di realizzare un film low-budget.
Allora, come spiegare l\u2019infografica al neofita? Potremmo tentare definendola come la raccolta, l\u2019organizzazione e la rappresentazione di dati in forma grafica. O, ancora, come un\u2019immagine bidimensionale in grado di incorporare livelli di informazioni molteplici ed eterogenei (\u201cescaping flatland<\/em>\u201c, secondo il teorico Edward Tufte<\/strong>). Spesso rappresentati, soprattutto nelle sue versioni pi\u00f9 contestate, da quei grafici a torta che ci ricordano gli spettri delle elaborazioni in Excel. Ma caratterizzati sempre \u2013 pena il dileggio delle comunit\u00e0 in rete \u2013 da una veste grafica raffinata, quasi al limite della patinatura, devota al predominio della vettorialit\u00e0 e guidata dal motto lanciato da uno dei suoi pi\u00f9 illustri esponenti, il giornalista e designer David McCandless<\/strong>, che dell\u2019adagio \u201cinformation is beautiful<\/em>\u201d ha fatto un leitmotiv, oltre che un libro, ormai condiviso dai suoi numerosi epigoni.<\/p>\n\n\n\n

Ma se l\u2019infografica si \u00e8 trasformata in un oggetto di culto, tanto lo deve a tutti quei prodotti giornalistici che, sposandone la formula, ne hanno fatto un cavallo di battaglia in grado di conferire visibilit\u00e0 al genere e scarto innovativo alla propria identit\u00e0 editoriale. A cominciare dal New York Times<\/em>, tra i primi quotidiani a inserire le infografiche sulle sue pagine cartacee e online. O ancora a Good<\/em>, la rivista americana che, pi\u00f9 di ogni altra, ha identificato nell\u2019infografica la propria specificit\u00e0 editoriale. E a cui, qui in Italia, si aggiungono i casi de Il Sole 24Ore<\/em> e Wired Italia<\/em>, maturati sull\u2019onda degli esperimenti americani ma gi\u00e0 in grado di conquistarsi un\u2019identit\u00e0 visiva specifica e sofisticata. Senza dimenticare i fenomeni underground del momento, in primis quello di tal Nicholas Felton <\/strong>(nell’immagine un estratto dal suo Annual Report 2010)<\/em> che illustra la sua vita con report ispirati ai bilanci aziendali.
Sbaglieremmo, per\u00f2, a pensare che l\u2019infografica sia un\u2019invenzione tutta nuova, spiegabile con l\u2019avanzare del digitale e con il lento ma inarrestabile predominio dell\u2019immagine sulla parola scritta. Affinando il ricordo, dovremmo infatti tenere a mente che le pi\u00f9 antiche cartografie risalgono addirittura al 7500 a.C., ben prima dell\u2019avvento dei primi alfabeti. Sbaglieremmo ancora se pensassimo che le infografiche siano cosa da desktop publishing, se fu il grafico francese Charles Joseph Minard<\/strong> nel 1861 a elaborare la prima, \u201cvera\u201d infografica sul fallimento della campagna di Russia di Napoleone.<\/p>\n\n\n\n

Che sia dunque nella sua capacit\u00e0 di sviluppare una narrativa in uno spazio compresso, favorendo la razionalizzazione e la gerarchizzazione dei dati, la vera forza dell\u2019infografica di oggi e di ieri? Visto il legame strutturale fra le necessit\u00e0 di trasmettere informazioni e generare una storia, non possiamo che concordare. Ricordando, per\u00f2, che l\u2019effetto moda insito nella proliferazione odierna delle infografiche rischia di esserne il limite pi\u00f9 strutturale<\/strong>. Spesso sottaciuto, perch\u00e9 di questo genere di rappresentazioni si preferisce evidenziare il lato schematico e neutrale rispetto a quello iperbolico e persuasivo, legato, quest\u2019ultimo, alla pubblicazione di una bella immagine capace di spezzare la monotonia di una griglia editoriale, o alla possibilit\u00e0 di suscitare sentimenti empatici, ad esempio angoscia e stupore. A svantaggio, senz\u2019altro, dell\u2019accuratezza delle fonti che vogliamo difendere, o del rumore semantico che ci pregiamo di voler diminuire.<\/p>\n\n\n\n

Pubblicato su Artribune Magazine<\/a> #2 e su Artribune.com il 4 novembre 2011<\/em><\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"

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