Un attacco al settorialismo accademico e alle torri di vetro dove i dotti e i luminari si confinano in un’attività di studio troppo elitaria. Ma anche un modo per stare al passo – e dettare legge – sulla crescente sovrapposizione tra design e scienza. JoDS, aka Journal of Design and Science, l’ultima iniziativa editoriale scaturita da quell’avanguardistico think tank universitario che è il MIT di Boston, è una pubblicazione online in formato open access che si prefigge di indagare a doppio filo e senza soluzione di continuità “non solo il design della scienza, ma anche la scienza del design”. La prima novità è una questione di metodo: gli articoli pubblicati, infatti, sfuggiranno alla logica della “revisione di pari”, quella prassi consolidata che subordina una pubblicazione al giudizio di un esperto di pari competenze nel settore. Un meccanismo, questo, che è generalmente sinonimo di trasparenza e autorevolezza anche in virtù dell’anonimato che accompagna questa revisione, ma che esclude però l’intervento e il commento da parte della comunità più allargata, quella dei cultori della materia che operano a diverso titolo nel settore.
TESTI CONDIVISIBILI CON LICENZA CREATIVE COMMONS
Su JoDS, invece, gli articoli sono dati in pasto a tutti i lettori planetari, i quali potranno non solo leggere e condividere i testi con licenza creative commons, ma anche simulare la revisione di pari inserendo commenti e critiche puntuali lungo tutto il corso dell’articolo, come se stessero appuntando una nota a margine. Quanto ai contenuti, prepariamoci a una voragine inarrestabile di “antidisciplinarietà” – l’esatto contrario di quell’interdisciplinarità che il MIT giudica ormai superata perché vista come un limite all’avanzamento della conoscenza entro paletti e aspettative troppo certe. A parlare, per ora, troviamo autori onnivori – Joi Ito, Neri Oxman, Kevin Slavin, Danny Hillis – con un’evidente fascinazione per computer science ed etnografia, che parlando sia dell’invenzione dell’utente che di robot iper-performanti non fanno altro che scommettere sull’inevitabile compresenza di un po’ di scienza nel design, e di design nella scienza, per dare vita ad un progresso tangibile e fuori dagli schemi.
Pubblicato su Artribune.com il 12 marzo 2016