Tutti vogliono la Design Week

Negli ultimi anni il numero delle design week “made in Italy” è cresciuto in maniera esponenziale. Ma quali sono le ragioni di questo fenomeno? E cosa succede all’estero?

All’inizio c’era solo lui, il Fuorisalone di Milano, prima, unica e inimitabile design week su scala internazionale, epicentro naturale degli eventi di ricerca e promozione intorno al mondo dell’arredo e del prodotto, una legittimazione e un primato inscalfibile legato al protagonismo delle sue aziende e dei suoi designer nel mondo. Poi, come un rizoma che si propaga in maniera sfuggente, altre timide settimane del design hanno iniziato a emergere sul più vasto territorio italiano. Il circuito a cui hanno dato vita è ancora instabile, in continuo movimento, tra esordi inaspettati e precoci fallimenti. Eppure la sua presenza testimonia come, al di là di singole esperienze e vocazioni, il design si stia affermando sempre di più come uno strumento di marketing territoriale, asso nella manica per lo storytelling nonché driver (sempre efficace?) per diffondere innovazione.
E allora, quante sono le design week e in quali territori si stanno affermando? Qual è il vantaggio strategico offerto da queste operazioni? Lasciando da parte un censimento vero e proprio – Bologna, Firenze, Pordenone, Forte dei Marmi, Lecce, Ancona, Urbino, Palermo, Torino, Venezia, Matera sono alcune tra le design week italiane – partiamo da un caso curioso che ha interessato l’hinterland milanese. Alle spalle della metropoli ambrosiana, forte di ben 1.500 eventi durante il Fuorisalone e di un numero di visitatori che va oltre le 300mila presenze registrate in fiera, sono ben tre le design week – Varese, Monza, Brescia – che negli ultimi due anni hanno sentito la necessità di uscire dal cono d’ombra del capoluogo regionale.
Desiderio di rimarcare la specificità e le personalità della provincia? O forse fiducia in un format altamente democratico – per affermarlo serve in genere un progetto solido, un po’ di networking tra gli operatori locali e gli sponsor e la ricerca di un patrocinio istituzionale – che ha saputo dimostrare la propria capacità di coinvolgere e intrattenere anche i non addetti ai lavori?

Brera Design District. Photo © Mattia Vacca

DA CATANZARO A ROMA
Paolo Casati, direttore creativo con Cristian Confalonieri di Studiolabo, agenzia che ha all’attivo l’ideazione e organizzazione di Fuorisalone.it, Brera Design District e Brera Design Days, ce ne dà una ragione: “La proliferazione del format ‘design week’ è legata allo sdoganamento del design dalla sua stretta identità industriale”, racconta ad Artribune, “e al fatto di avere, a differenza ad esempio dell’arte, una dimensione più accessibile e inclusiva. Replicare un modello vincente quale quello della Milano Design Week non è comunque immediato: a essere imprescindibile non è soltanto la disponibilità di una finestra cronologica, la fantomatica ‘settimana’, ma anche di un distretto fatto di realtà progettuali ben ancorate sul territorio e di eventi capaci di legarsi a contenuti di qualità”.
La diffusione e l’inevitabile contaminazione del format si allarga poi a territori lontani non solo dalla cultura del progetto, ma anche dalla presenza della “fabbrichetta”. È il caso della CDW – Catanzaro Design Week, di cui ci raccontano i fondatori Giuseppe Anania e Domenico Garofalo: “Partendo dalle potenzialità del territorio e del suo tessuto sociale, la CDW vuole creare un ponte tra fare ideativo e fare produttivo. Per questo vogliamo promuovere un processo di educazione al design, innestando un dialogo tra la sapienza artigiana locale, spesso testimone di identità culturali antiche e molto ricche, e le esperienze di designer provenienti da tutta Italia. Ancora, vogliamo puntare sul design indipendente, autoprodotto. L’obiettivo: un nuovo ‘prodotto Calabria’ capace di far fare il salto a tutta la nostra filiera”. Un processo virtuoso per rafforzare il prodotto, dunque. Diverso peraltro dal caso di Roma, la capitale lontana dall’industria e dai grandi studi che si appresta nel 2018 a lanciare una design week con identità e prerogative proprie. Antonia Marmo, ideatrice e coordinatrice di questo progetto in divenire, spiega ad Artribune che la settimana del design di Roma “non sarà una fiera e non punterà di riflettori sul prodotto. Il concept, piuttosto, è incentrato sulle atmosfere e sulle storie, guardando a tutto ciò che Roma evoca in termini di bellezza, mito, eternità, viaggio sentimentale, lifestyle. Gli appuntamenti saranno concentrati sul centro di Roma in un circuito che comprenderà palazzi storici, accademie straniere e gallerie d’arte e design, con installazioni site specific realizzate con i più noti marchi del design italiano e internazionale e con designer provenienti da tutto il mondo, sotto la guida di un comitato scientifico internazionale”.

World Design Week. Photo © Jeroen van der Wielen

UNO SGUARDO ALL’ESTERO
E all’estero, cosa succede? L’esplosione delle design week si registra anche fuori dai nostri confini, con una crescita non troppo distante dalla nostra. Per scremare i contenuti, c’è poi chi prova a fare sistema. Lanciata lo scorso anno e presentata alla Triennale di Milano durante il Salone 2017, la World Design Week è un network che unisce alcune tra le design week più importanti d’Europa, Asia e America, nello specifico Helsinki, Eindhoven (dalla sua fondazione nel 1998, quella più attenta alle sperimentazioni: non a caso si definisce la settimana del “design of the future”), Città del Messico, Seoul, San Francisco, Toronto, Barcellona e Pechino (quest’ultima con il record di visitatori: 5 milioni nel 2016). Lo scorso 14 e 15 settembre i suoi rappresentanti si sono dati appuntamento a Helsinki con l’obiettivo di “unire le design communities del pianeta”, promuovendo conversazioni di qualità intorno ai temi del progetto. Che l’inflazione di apertura e democrazia non sia l’anticamera per l’emergere di design week a due velocità?

Pubblicato su Artribune Magazine #39 e su Artribune.com