Andrée Putman, ambasciatrice di stile

Una fama tardiva, e il gusto per gli ossimori. L’ambasciatrice dello stile francese – con una carriera da Jack Lang al Concorde, a BHL – in mostra a Parigi con una retrospettiva-tributo all’Hotel de Ville…

“Sono diventata famosa a New York perché pensavano che lo fossi già a Parigi”. È con una lucidità spiazzante e autoironica che Andrée Putman descrive l’arrivo della propria fama tardiva, conquistata – anche con la complicità dei circoli più esclusivi della Grande Mela, in primis l’establishment dello Studio 54 – grazie all’iconico progetto di interni del Morgan Hotel nel 1984.
Ma quale talento si nasconde dietro al gusto grafico della sala da bagno più famosa del Novecento, entrata nella storia per aver sovvertito gli opulenti codici degli anni ’80 con la predilezione per semplici piastrelle, rianimate in virtù di un deciso accostamento psichedelico?
Quello di Andrée Putman, oggi celebrata con una retrospettiva all’Hôtel de Ville sotto l’egida della più alta carica cittadina, il maire Bertrand Delanoë, è un profilo umano e professionale fuori dall’ordinario, un amalgama di elementi eclettici in potenziale corto circuito, eppure capaci di convergere in una sintesi univoca e sublime, frutto di impulsi e curiosità biografiche più che di una spiccata propensione progettuale.
Un dato che spiega l’arrivo imprevisto di una notorietà quasi accidentale, propria di chi ha lavorato con disciplina ma senza accanimento a vocazioni espressive divergenti: bambina dell’altissima borghesia avvezza alle più alte espressioni del gusto della propria classe sociale; pianista e compositrice di riconosciuto talento fino ai 20 anni; moglie e musa per intellettuali e artisti della Francia della contestazione; a seguire, stylist e imprenditrice fuorimoda, la prima a rimettere in produzione – con la società Ecart da lei fondata – i mobili dimenticati di Mariano Fortuny, Eileen Grey e Robert Mallet Stevens.

Andrée Putman, Morgan Hotel, 1984

Una parabola lunga ed eccentrica, per una donna di cinquant’anni, che in virtù della sua singolare personalità può godersi il lusso di rimescolare le carte e dar vita, con una nuova carriera a capo dell’agenzia di design Studio Putman, a un portfolio capace, nei 25 anni a seguire, di reinterpretare l’identità di luoghi e brand autorevoli con un inusitato gusto dell’ossimoro.
Eccellenti, e tutti francesissimi, gli esempi che ne danno una testimonianza. Un buon inizio è l’ufficio di un Jack Lang ministro della cultura in rue de Valois, in cui le decorazioni barocche si confrontano con le totemiche geometrie dei mobili anni ‘80, armonizzandosi soltanto nella continuità degli infiniti toni del beige.
Altri riferimenti, in ordine sparso, sono il progetto del Concorde, in cui Putman rinuncia agli stilemi da jet-set per incarnare un lusso trattenuto e allo stesso tempo confidenziale. O, ancora, lo showroom Guerlain sugli Champs, capace di dare più risalto a lampadari e stucchi in stile impero sacrificandone il protagonismo e la percezione dell’integrità. O, infine, gli interni dell’abitazione di Bernard Henry Lévy a Tangeri, per il quale Putman ricava uno spazio etereo e aperto all’esterno, in continuo dialogo con la vista del mare che lo circonda.
Comune a tutti questi casi, è il trait d’union dato da alcune cifre che ritornano continuamente: l’amore per i colori-non-colori e per la luce che si modula nell’ombra, un minimalismo che dà più risalto ai volumi rispetto che agli oggetti, e il fiero predominio della bellezza sul primato tirannico della funzionalità.
Stesse cifre, peraltro, che ritroviamo nel sobrio allestimento dell’esposizione, curata dalla figlia Olivia, ora succeduta alla madre al timone di Studio Putman. In mostra, tra mobili e complementi d’arredo, anche un vasto corpus fotografico, tra cui gli scatti di interni di Deidi von Schaewen, fino alla ricostruzione, senz’altro l’attrattiva più eccitante del percorso, del bagno del Morgan in scala 1:1.

Pubblicato su Exibart il 24 febbraio 2011