Design e riedizioni. Il fascino dei revenants

A volte ritornano. Sebbene, a dirla tutta, ultimamente sembrino ritornare sempre più spesso. Non siamo in un episodio della serie televisiva “Les Revenants”, ma tra le deboli e inconsistenti “tendenze” che hanno abbracciato il campo dell’arredo negli ultimi anni. Qui, in un’accelerazione silenziosa quanto pervasiva, sono le riedizioni a infiltrarsi con sempre maggior decisione tra le mura del nostro universo domestico.

COSA SONO LE RIEDIZIONI
Nel gergo dei professionisti, la parola-ombrello ‘riedizione’ indica la riproposizione nei cataloghi aziendali di pezzi fuori produzione fino anche all’industrializzazione di arredi che mai, fino a quel momento, avevano visto la luce oltre il loro stadio di bozza o prototipo. Un fenomeno, è giusto tenerlo presente, che accompagna l’evoluzione della cultura del mobile fin dal secondo dopoguerra, se pensiamo alle riedizioni dei pezzi Bauhaus reintrodotti sul mercato da Dino Gavina già a partire dal 1962.
È solo recentemente, però, che le riedizioni sembrano essersi moltiplicate, fino a un’ultima, decisa impennata registrata al Salone del Mobile. Dove sono stati avvistati, in ordine sparso e in misura largamente incompleta, la nuova seduta Sof Sof (1972) di Enzo Mari per Driade, il mobile porta tv Tivù (1990) di Stefano Giovannoni per InternoItaliano, la collezione di complementi per la tavola Design Memorabilia a firma dei nostri migliori maestri, fino alle nuove (accattivanti?) versioni colorate della Series 7™ di Arne Jacobsen (1955): una moltitudine variegata di espressioni, sia formali che produttive, difficilmente racchiudibili in una sola etichetta. Sebbene tutte, nella loro eterogeneità, si mostrino legate da un collante impalpabile: un’aura di “sicurezza”, rasserenante e a volte celebrativa, scaturita da un dato culturale già acquisito che si vuole mettere nuovamente in valore.

RISCHIO ZERO? MICA DETTO
Non che per le aziende, è giusto precisarlo, l’iniziativa di una riedizione equivalga a un’operazione a rischio zero. Ne sa qualcosa Cassina, che rappresenta da sempre l’indiscusso capofila nel campo delle riedizioni di design. Inaugurata nel 1965 con quattro arredi realizzati a partire dai disegni di Le Corbusier, la sua collezione I Maestri ha portato avanti per decenni un esercizio filologico di eccezione, se pensiamo che il passaggio da ogni disegno e/o prototipo a oggetto seriale richiede uno studio attento del pezzo originale e delle tecnologie (contemporanee al momento del progetto? Attuali?) da impiegare nella realizzazione. Domande aperte con cui si è confrontata anche Molteni nel 2012 per la messa in produzione di alcuni arredi di Gio Ponti: un lavoro complesso, che ha imposto un’accurata esegesi delle informazioni presenti nell’archivio del grande architetto milanese e ha posto interrogativi non scontati circa la grande o piccola serie in cui dovessero essere realizzati.
Non tutte le aziende, però, hanno scelto la strada di un inappuntabile rigore formale: lavorando in partnership con il marchio di abbigliamento G-Star RAW, Vitra ha riproposto negli ultimi due anni alcuni arredi da ufficio progettati dall’iconico Jean Prouvé negli Anni Quaranta, strizzando l’occhio a un restyling che sa coniugare colori e finiture intriganti con un aggiornamento ergonomico dei progetti in linea con esigenze e attitudini del XXI secolo.

STILNOVO E GUFRAM
Sono due, tuttavia, i progetti che sembrano marcare con maggiore decisione lo Zeitgeist delle riedizioni contemporanee. Il primo riguarda la rinascita dello storico marchio di illuminazione Stilnovo, sostenuta non solo da un’operazione di rilancio aziendale (una ventina le lampade riproposte finora) ma anche da una ritrovata legittimità culturale ad opera di un comitato scientifico blasonato. L’obiettivo? Trasformare un catalogo senza tempo in una sorta di araba fenice dell’Italian Style, capace di esportarne sui mercati internazionali la pratical grace – deliziosa definizione per etichettare la specificità del made in Italy – e di fare scuola convertendo in nuovo asset un vecchio patrimonio industriale. Il secondo, diversissimo dal primo fosse anche solo per il registro stilistico evocato, è dato da Gufram e dalla sua riscoperta dell’irriverente eredità radicale. La sua edizione originale de La Cova, seduta cocoon a forma di nido progettata da Gianni Ruffi nel 1972, non è solo un invito a un’intimità informale e liberatoria, ma anche un incoraggiamento alla riscoperta dell’audacia fuori dalle righe di quella stagione. Invito che la comunità del design sembra aver accolto con entusiasmo. Sempre in attesa che, fra aste di rarità e fiere sempre più vintage (Design Miami), una proposta inedita torni a sorprenderla con qualcosa di realmente “mai visto”.

Pubblicato su Artribune Magazine #28 e su Artribune.com il 17 maggio 2016